Philip Fisher: ecco cosa pensava dei dividendi | Investire.biz

Philip Fisher: ecco cosa pensava dei dividendi

11 nov 2025 - 14:15

Philip Fisher non riteneva i dividendi così importanti nella scelta di un investitore sulle azioni da inserire in portafoglio. Vediamo quali sono i motivi

I dividendi rappresentano la quota di utili che un’azienda distribuisce periodicamente agli azionisti, spesso percepiti come una fonte stabile di reddito e un indicatore di solidità finanziaria. Il grande economista e investitore Philip Fisher, però, non dava troppa importanza ai dividendi e anzi sottolineava che la vera creazione di valore derivasse dalla capacità dell’azienda di reinvestire gli utili in progetti ad alto rendimento.
 
A suo avviso, concentrarsi eccessivamente sui dividendi può distogliere l'attenzione dalle opportunità di crescita a lungo termine. Quindi suggeriva di valutare le politiche di distribuzione non come fine, ma come strumento in un quadro più ampio di investimento strategico. Questo approccio aiuta a distinguere le aziende realmente straordinarie da quelle che sembrano attraenti solo per l’ammontare dei dividendi.
 
 

Dividendi: ecco le principali riflessioni di Fisher

L'opinione di Fisher sui dividendi può essere riassunta in quattro punti fondamentali, che ogni investitore dovrebbe tenere in considerazione. 
 
Rendimento da dividendo diverso dal valore assoluto per l'azionista
 
Fisher osservava che un’azienda che distribuisce un dividendo elevato può sembrare attraente, ma se quegli utili potevano essere reinvestiti con un rendimento molto superiore al costo del capitale, allora restituirli agli azionisti potrebbe non essere una scelta ottimale. In altre parole: se l'azienda ha opportunità di crescita elevate - nuovi mercati, prodotti innovativi, maggior efficienza - trattenere gli utili può portare a un valore complessivo superiore per l'azionista rispetto alla semplice distribuzione di dividendi.
 
Il contesto dell'investitore conta
 
Fisher ricordava che l'importanza dei dividendi dipende anche dalle circostanze personali dell’investitore. Per qualcuno che ha bisogno di reddito immediato, un buon dividendo può essere un vantaggio; ma per chi è un investitore che punta al reinvestimento degli utili, un’azienda che reinveste in sé stessa può essere preferibile. Tuttavia, Fisher sottolineava di focalizzarsi su aziende eccezionali e, in quel contesto, l'irrinunciabilità del dividendo come criterio principale d'investimento diventa meno rilevante.
 
Il dividendo regolare batte quello variabile
 
Un altro aspetto evidenziato è la regolarità del dividendo: Fisher preferiva un'azienda con una politica di dividendo stabile, che aumenta gradualmente e può essere mantenuto nel tempo, piuttosto che oscillazioni o promesse altisonanti. Per l'investitore, un dividendo che può essere conteggiato sul lungo termine con ragionevole certezza è preferibile a uno elevato ma instabile.
 
Attenzione al costo fiscale e al reinvestimento
 
Fisher evidenziava un punto spesso trascurato: il dividendo che l’investitore riceve viene tassato, poi se reinvestito lo sarà con minor capitale. Se invece l’azienda reinveste internamente, non c'è "tassazione multipla" e potenzialmente il capitale cresce "internamente" in maniera più efficace. Questo porta a concludere che per un portafoglio orientato alla crescita, un basso dividendo ma forte reinvestimento può essere più redditizio. Questo concetto è stato ripreso dal discepolo di Fisher, Warren Buffett, che in sei decenni di gestione del conglomerato Berkshire Hathaway non ha mai distribuito un dividendo in quanto lo ha sempre considerato fiscalmente inefficiente.
 

Perché il "clamore" sui dividendi è esagerato secondo Fisher

Fisher usava l’espressione "hullabaloo" (trambusto, clamore) proprio perché l'attenzione data ai dividendi è sproporzionata rispetto alla loro reale importanza nei casi dei migliori investimenti. Le ragioni principali sono:
  • molti investitori considerano il rendimento del dividendo come un segnale di buon investimento, quando in realtà può nascondere opportunità mancate di crescita;
  • l'enfasi sul dividendo può indurre a preferire aziende mature, stabili ma con potenziale di crescita inferiore, piuttosto che aziende "straordinarie" che reinvestono per espandersi;
  • la scarsa considerazione del reinvestimento interno e del potenziale di crescita riduce la visione strategica dell’investitore: dividendi alti oggi ma crescita bassa domani.
  • la tendenza a confrontare solo i rendimenti da dividendo senza osservare le effettive opportunità di reinvestimento all'interno dell’azienda porta a scelte sub‑ottimali.
In sostanza: Fisher invitava a spostare il focus dal "quanto dividendo" al "quanto valore futuro" può generare la gestione e l’azienda stessa.
 
 

Implicazioni pratiche per l’investitore

Alla luce di quanto Fisher affermava, è possibile seguire alcune linee guida pratiche per chi investe nelle azioni in Borsa al fine di orientarsi nel modo più efficace possibile.
 
In primo luogo, bisogna chiedersi quali opportunità si hanno di reinvestire gli utili con un rendimento superiore al costo del capitale. Se queste opportunità sono importanti, allora un dividendo elevato potrebbe non essere la scelta migliore.
 
In secondo luogo, occorre valutare la politica societaria dei dividendi: meglio una distribuzione moderata e sostenibile che continui nel tempo piuttosto che una distribuzione alta ma che mette a rischio la crescita o la stabilità.
 
Terzo, è utile considerare il proprio orizzonte temporale e il proprio obiettivo: se si cerca reddito immediato, i dividendi contano, ma qualora si opti per una crescita del capitale a lungo termine, il reinvestimento degli utili può rivelarsi più potente.
 
Quarto, non usare il rendimento del dividendo come criterio primario per selezionare azioni: secondo Fisher, è solo uno dei fattori e, in molte situazioni, il più debole fra quelli da considerare.
 
Infine, assicurarsi che la direzione aziendale abbia senso: management capace, visione di crescita, vantaggi competitivi sono fondamentali. Un alto dividendo non compensa una cattiva gestione o uno scarso potenziale di crescita.
 

Critiche e limiti del ragionamento di Fisher

Per quanto l'opinione di Fisher sui dividendi sia stata molto seguita dalla dottrina accademica e da molti investitori, non è stata esente da critiche. Alcuni osservatori finanziari ritengono che in contesti dove la crescita dell'azienda è limitata, magari per motivi di settore o dimensione, l'attenzione al dividendo normalmente è più alta. In quel caso, scegliere un'azione con un buon rendimento da dividendo può essere sensato.
 
Altri sostengono che le condizioni fiscali, l'asset allocation individuale, le esigenze di reddito possono variare da investitore a investitore. Quindi, l'approccio di Fisher è forte nella logica "investitore che cerca aziende eccezionali per la crescita", ma meno in quella "investitore che cerca reddito stabile".
 
Altri ancora sono dell'idea che il mercato è cambiato nel frattempo (da quando Fisher ha elaborato la sua teoria sui dividendi nel secolo scorso). Oggi la globalizzazione, i tassi di interesse bassi, le nuove implicazioni fiscali e regolamentari possono rendere più complicata la valutazione dividendo vs reinvestimento. Tutto ciò ovviamente non sminuisce le idee di Fisher ma richiede una contestualizzazione.
 
 
 

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