È la mattina del 24 agosto 2015 quando la Cina si sveglia vivendo un incubo. La Borsa di Shangai precipita dell'8,5%. È il peggiore crollo dal febbraio del 1997, anno in cui ci fu la grande crisi delle Tigri Asiatiche. A scatenare le vendite furiose degli investitori la notizia che l'economia cinese è in rallentamento.
Le rilevazioni degli istituti di statistica danno il Dragone in crescita poco meno del 7%, ma quello che preoccupa gli operatori è che la notizia arriva dopo tutta una serie di dati macroeconomici negativi. Nel mese di luglio infatti le esportazioni, su cui si regge una bella fetta dell'economia di Pechino, crollano dell'8%. La cosa spinge la PBOC a svalutare lo Yuan. L'indice di acquisto manifatturiero nello stesso mese fa registrare un livello di 47,1, che certifica una contrazione dell'economia.
La bolla immobiliare cinese e il credito facile
Negli anni precedenti alla crisi, la crescita dell'ex-Impero Celeste è stata spinta in gran parte dei grandi investimenti immobiliari delle province che hanno fatto lievitare i prezzi. Nei tempi più recenti il crollo delle valutazioni nell'edilizia ha fatto scoppiare la bolla e una quantità enorme di imprese, che hanno usufruito del credito facile delle banche, si sono ritrovate piene di debiti e con case che non riescono a vendere.
Tutte le strategie economiche attuate dalle autorità governative, e che fino a quel momento sono state prese a modello da altri Paesi in via di sviluppo, ad un tratto si sono rivelate fallimentari. Ma questa è solo una parte del problema del credito. I tassi a cui si prende a prestito per investire hanno cominciato a essere maggiori rispetto alle performance degli investimenti. Di conseguenza si chiede altro credito per sostenere la situazione, generando una spirale del debito da cui non si riesce a uscire.
Per risolvere la situazione molte imprese, incoraggiate dal Governo, hanno chiesto prestiti per speculare in Borsa. Il crollo dei mercati finanziari ha alimentato una reazione a catena disastrosa. La situazione di crisi che si viene a determinare fa coppia con basso livello dei salari, fatto che impoverisce ancora di più il portafoglio delle famiglie. Sono in molti a chiedere all'Amministrazione di partito di rilanciare il mercato interno aumentando le buste paga invece di puntare tutto sulle esportazioni che rappresentano il 20% del PIL nazionale.
La revisione della parità Yuan/Dollaro USA
In quell'anno la Banca centrale cinese effettua una politica di riduzione dei tassi per stimolare l'export. Da novembre 2014 a giugno 2015 il tasso di sconto è passato dal 6% al 4,85%. Questo è servito a poco per evitare la frenata. Oltre a questo, l'ancoraggio dello Yuan al Dollaro USA ha significato una rivalutazione del 15% della divisa cinese in un anno. Dal 2010 la banda di oscillazione Yuan/Dollaro viene mantenuta stretta anche, soprattutto per contenere gli effetti della politica espansiva della FED.
Quell'anno, il passaggio a un sistema di cambi flessibile controllato sembra una scelta assolutamente inevitabile per rilanciare la bilancia commerciale. Da quel momento avviene la più massiccia svalutazione monetaria degli ultimi 30 anni. Questo apre la strada a un rischio, che è quello della fuga dei capitali dalla Cina.
Nonostante le svalutazioni l'export cinese crolla. A quel punto i mercati percepiscono che la situazione è deragliata e che il Governo sta perdendo il controllo del Paese. Così il listino di Shangai viene bersagliato da un panic selling che lo manda a picco, fino a fargli perdere il 30% del suo valore in tre settimane.
La lenta ripresa del Dragone con le politiche fiscali e monetarie
Negli anni successivi il Governo e la Banca centrale di Pechino producono stimoli fiscali e monetari enormi, generando un'ondata di liquidità che investe soprattutto le grandi industrie a direzione statale e il mercato immobiliare. Questo si accompagna a una leggera ripresa delle quotazioni borsistiche dell'indice di Shangai che risale la china fino a fine del 2015, per poi ripiombare in un'altra violenta discesa con l'avvento del nuovo anno. Da quel momento vi è una lenta ripresa con i prezzi di Borsa che nel gennaio 2018 hanno recuperato tutto il terreno perduto negli anni precedenti.
Nel frattempo vi è sempre il problema della sovrapproduzione che si manifesta dai tempi antecedenti la crisi e i tentativi del Governo di effettuare una regolamentazione imponendo anche dei limiti al credito sembrano cadere nel vuoto. Shangai ha vissuto momenti drammatici con il divampare del Coronavirus a cavallo tra il 2019 e il 2020. Nonostante la pandemia sia stata una delle più grandi tragedie del secolo attuale e passato, ciò che avviene nel principale listino della Cina è poca roba rispetto allo shock del lunedì nero del 2015 e dei mesi successivi.