Domenica 30 giugno si terrà il primo turno delle elezioni francesi per rinnovare il parlamento. L'evento sarà di particolare importanza non solo per la Francia, ma per l'Europa intera per via degli strascichi che il voto potrà lasciarsi dietro.
Dopo le elezioni europee del 6-9 giugno che hanno decretato la disfatta di Renaissance, il partito del presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron, quest'ultimo ha preso una decisione shock: lo scioglimento anticipato del parlamento e l'indizione di nuove elezioni in Francia. La mossa rischia di avere delle ripercussioni profonde nell'attuale panorama politico transalpino, in quanto probabilmente segnerà la presa delle redini del Paese da parte di Marine Le Pen, il leader del partito di estrema destra Rassemblement National. Almeno questo è quanto si evince prendendo a riferimento le risultanze delle urne in Europa, dove il partito ha sfondato la soglia del 30%, e gli ultimi sondaggi che danno la destra al 35%.
L'unica insidia potrebbe arrivare da un'altra forza estrema, stavolta però collocata a sinistra: il Nouveau Front Populaire, che riunisce il Partito socialista, France insoumise, il Partito comunista, i Verdi e altre forze di sinistra. La cosa quasi certa sarà, salvo clamorosi rovesciamenti, il crollo di Renaissance, uscito con le ossa rotte alle europee.
Le elezioni francesi sono attese con grande trepidazione dalla politica, dagli analisti e ovviamente dai mercati finanziari. Ma come è strutturato il sistema di governo in Francia e com'è la legge elettorale?
Elezioni Francia: il sistema di governo
Come sancito dalla Costituzione del 1958, la Francia è una repubblica semipresidenziale. In sostanza, nel sistema politico francese, le funzioni esecutive vengono esercite dal Presidente della Repubblica, eletto direttamente dal popolo, e dal Primo Ministro, nominato dal Presidente sulla base delle risultanze parlamentari. Quindi, il semipresidenzialismo si contraddistingue per la sua "diarchia" nell'esercizio del mandato di governo. In altri termini, il capo dello Stato è anche capo del governo e opera insieme al Primo Ministro, anch'egli capo di governo.
Ma cosa distingue i compiti dell'uno e dell'altro? Il Presidente della Repubblica ha veri e propri poteri politici, oltre che di rappresentanza dello Stato. Inoltre, come detto, nomina il Primo Ministro e, su proposta di questi, gli altri membri del governo. Infine, presiede il Consiglio dei ministri. Il Primo Ministro necessita della fiducia del parlamento e dirige l'azione del governo.
Le due figure che rappresentano i capisaldi del sistema governativo transalpino non necessariamente sono dello stesso partito o della stessa coalizione. Può capitare che addirittura siano di fazioni opposte. È la circostanza che, stando ai sondaggi, potrà verificarsi con le prossime elezioni. Se dovesse prevalere il Rassemblement National, probabilmente verrà designato come Primo Ministro Marine Le Pen, che a quel punto dovrà coabitare - si usa proprio questo termine - con Emmanuel Macron, appartenente a uno schieramento di centro-sinistra. Secondo i critici, questo è proprio uno degli aspetti più controversi del sistema semipresidenziale.
La differenza rispetto al sistema politico italiano è che l'Italia è una repubblica parlamentare, in cui il Presidente della Repubblica svolge più che altro un ruolo terzo e imparziale, ponendosi come garante della Costituzione. Egli viene nominato dal parlamento e a sua volta nomina il Primo Ministro sulla base della maggioranza che si forma in Camera e Senato. Il Primo Ministro, che presiede il Consiglio dei ministri, è l'unico ad avere poteri di governo; pertanto, il capo dello Stato non è anche capo del governo.
In entrambi i Paesi, il presidente della Repubblica può sciogliere le Camere e indire nuove elezioni. Tuttavia, è diverso il potere: in Francia lo può fare autonomamente senza consultare il parlamento, come è avvenuto poche settimane fa dopo le elezioni europee; in Italia, lo fa quando non si crea in parlamento una maggioranza tale che possa sostenere il governo e a seguito di consultazioni con i vari schieramenti in aula. In definitiva, in Francia è il presidente della Repubblica la massima espressione della volontà popolare; in Italia è il parlamento.
Elezioni francesi: come si vota
Il parlamento francese è basato sul sistema bicamerale: l'Assemblea nazionale, o Camera Bassa, che rappresenta la componente più importante con 577 seggi e i cui deputati sono eletti direttamente; il Senato, che ha minore visibilità in quanto i 346 membri sono eletti a suffragio indiretto, ossia i votanti non scelgono direttamente un candidato ma dei delegati che poi saranno chiamati in un secondo momento ad eleggere il candidato.
Nelle elezioni del 30 giugno e del 7 luglio in Francia si voterà per l'Assemblea nazionale. Il sistema elettorale è quello del doppio turno. Al primo verrà scelto ogni candidato nella sua circoscrizione. Se questi riesce a ottenere più del 50% dei voti con almeno il 25% degli elettori registrati, allora vince automaticamente senza bisogno di andare al secondo turno. Qualora nel collegio elettorale nessun candidato ottiene la maggioranza assoluta, si passa al secondo turno. Chiunque abbia superato al primo turno il 12,5% delle preferenze, può accedere al secondo turno, in cui vince chi ottiene il maggior numero di voti.
Questo sistema elettorale può dare degli esiti molto diversi tra primo e secondo turno, e in questo vengono spesso penalizzati i partiti più estremi. Il motivo è che gli elettori degli schieramenti sconfitti al primo turno, al secondo poi scelgono le forze più vicine, o meno lontane, e difficilmente ciò combacia con fazioni che si trovano all'estremità. Ad esempio, nelle elezioni del 2022 ha trionfato Macron al secondo turno, anche se al primo era stato sconfitto da Le Pen. Stavolta però potrebbe essere diverso per due ragioni: in primis perché il Rassemblement National è più forte rispetto a due anni fa; in secondo luogo perché in molte circoscrizioni i tre poli molto probabilmente supereranno la soglia del 12,5%, il che significa una contesa a tre al secondo turno con il venir meno del voto utile.