Negli Stati Uniti è in discussione una riforma fiscale che, se approvata nella sua forma attuale, potrebbe avere un impatto significativo su tutti gli investitori esteri, compresi gli italiani. Al centro della questione c’è una nuova tassa aggiuntiva sui dividendi erogati da società americane, destinata in particolare ai residenti in Paesi considerati "ostili" dal punto di vista fiscale.
Il Segretario al Tesoro Scott Bessent ha chiesto al Congresso di rimuovere la controversa clausola nota come "revenge tax" dal disegno di legge denominato One Big Beautiful Bill, attualmente all’esame del Senato dopo l’approvazione alla Camera. Vediamo tutti i dettagli e come - eventualmente - ci si potrà difendere se ci sarà un dietro-front.
Tassa dividendi USA: cos'è la "Revenge tax" e perché se ne parla
Il dibattito nasce attorno a una proposta contenuta nella sezione 899 della riforma fiscale statunitense, talvolta soprannominata “revenge tax”. Si tratta di un provvedimento che mira a colpire i Paesi che - secondo gli Stati Uniti - penalizzano fiscalmente le aziende americane. L’Unione Europea, e con essa l’Italia, rientrerebbe tra i possibili destinatari di questa “misura di riequilibrio”, anche a causa dell’introduzione della digital tax in alcuni Paesi membri.
Come funzionerebbe la nuova tassa sui dividendi
Il principale effetto concreto per gli investitori italiani sarebbe un aumento della ritenuta alla fonte sui dividendi USA. Attualmente, grazie al trattato fiscale tra Italia e Stati Uniti, la trattenuta è limitata al 15%.
Ma la nuova norma introdurrebbe una tassazione aggiuntiva progressiva, che – nella versione iniziale proposta dalla Camera – partirebbe da un +5% nel 2026 e salirebbe di altri 5 punti percentuali ogni anno, fino a un massimo del 20%. La proposta del Senato cerca di mitigare gli effetti, prevedendo:
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Una partenza posticipata al 2027,
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Una crescita sempre progressiva del 5% all’anno,
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L’applicazione in aggiunta al regime attuale, quindi mantenendo (almeno per ora) il trattato esistente.
Questo porterebbe a una trattenuta effettiva dal 15% al 30%, comunque significativa per alcune tipologie di portafogli.
Tassa dividendi USA: chi sarebbe più colpito dalla Revenge Tax?
L’impatto per il risparmiatore medio italiano dipende dal tipo di esposizione ai mercati USA. Ad esempio:
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In un portafoglio diversificato, dove i dividendi americani rappresentano solo l’1% del rendimento complessivo, il peso di un aumento della tassazione sarebbe trascurabile (circa 0,15% in meno).
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Ma in portafogli fortemente orientati ai titoli a dividendo USA, l’effetto potrebbe diventare rilevante, soprattutto in presenza di yield superiori al 3%.
Tassa dividendi USA: sono esclusi i titoli di Stato USA?
Sì. I titoli di Stato americani dovrebbero restare esclusi da questa misura, principalmente per motivi macroeconomici: aumentare la tassazione su interessi obbligazionari scoraggerebbe gli investitori stranieri, costringendo il Tesoro USA a offrire rendimenti più alti per piazzare il debito. Considerando che circa il 30% del debito americano è detenuto da soggetti esteri, la pressione sui conti pubblici sarebbe immediata.
Come difendersi (eventualmente) dalla Revenge Tax
In attesa dell’approvazione definitiva della riforma, non è consigliabile stravolgere i portafogli. Tuttavia, se la tassa entrasse in vigore, ci sarebbero alcune contromisure possibili:
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Utilizzo di ETF sintetici: Questi strumenti replicano l’indice senza detenere direttamente i titoli sottostanti e quindi non subiscono la trattenuta sui dividendi.
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Riduzione dell’esposizione diretta agli USA: Soprattutto nei portafogli a forte vocazione dividendo.
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Preferenza per titoli che effettuano buyback anziché distribuire dividendi: a parità di rendimento, il riacquisto di azioni proprie è fiscalmente più efficiente per l’investitore italiano.
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Selezione di indici e titoli a basso dividend yield: In questo modo si riduce l’importanza del flusso di dividendi nella performance totale.
Tassa dividendi USA: quando entrerebbe in vigore?
L’entrata in vigore dipenderà dal percorso parlamentare della riforma. In caso di approvazione entro il 2025, l’attivazione potrebbe avvenire:
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Dal 1° gennaio 2026 secondo la versione iniziale della Camera,
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Dal 1° gennaio 2027 secondo la versione attualmente in discussione al Senato.
In ogni caso, la norma entrerebbe in vigore 90 giorni dopo la firma del presidente USA.