La guerra commerciale innescata dai dazi USA sta tenendo con il fiato sospeso il mondo economico e finanziario. Ogni giorno ci sono aggiornamenti sul botta e risposta tra il presidente degli Stati Uniti
Donald Trump e i Paesi coinvolti nel conflitto tariffario. Tra questi rivestono un'importanza particolare le nazioni asiatiche.
Questo perché molte aziende americane si appoggiano a esse per importare le componenti necessarie ai loro prodotti o trasferire la produzione in loco grazie ai minori costi di manodopera, materie prime, energia, ecc. I dazi USA rischiano di ribaltare un paradigma che esiste da molti anni, mettendo così in difficoltà non solo le aziende partner delle multinazionali americane, ma anche e soprattutto le multinazionali stesse.
Ma come stanno reagendo i Paesi asiatici alle mosse di Trump? Ecco una carrellata delle situazioni attuali dei principali Stati, tenendo presente che il processo è in continua evoluzione.
Cina
La Cina è forse la nazione a livello mondiale maggiormente nel mirino di Trump. Appena si è insediato alla Casa Bianca il 20 gennaio 2025, il tycoon ha emesso un ordine esecutivo per imporre una tariffa del 10% a tutte le importazioni cinesi, elevata al 20% a partire dal 4 marzo. La reazione di Pechino? Tariffe a una sfilza di prodotti agricoli statunitensi che entrano nel territorio cinese.
La guerra commerciale tra le due più grandi superpotenze mondiali era però solo all'inizio. Nel fatidico evento del 2 aprile al Rose Garden della Casa Bianca, Trump ha dettato i dazi reciproci - in aggiunta a quelli già in vigore - per tutti i Paesi del mondo. Per la Cina, il magnate newyorchese ha previsto tariffe del 34%, che hanno portato il monte dei prelievi al 54%.
Pronta la rappresaglia del governo cinese: tasse al 34% su tutti i prodotti di importazione USA. L'8 aprile, un giorno prima dell'entrata in vigore dei dazi reciproci, è arrivata la contro-ritorsione degli Stati Uniti: ulteriore stangata del 50%, per giungere a dazi complessivi sulla Cina del 104%.
La replica di Pechino non si è fatta attendere: in una lotta senza esclusioni di colpi, poche ore fa le autorità del Dragone ha risposto portando i dazi sugli USA all'84%.
Giappone
Per il Giappone, Trump ha riservato una tariffa reciproca del 24%. Gli ottimi rapporti commerciali e diplomatici tra Tokyo e Washington finora hanno evitato che la situazione degenerasse. Il primo ministro giapponese Shigeru Ishiba già da subito si è espresso a favore di un dialogo, rinunciando a entrare in una guerra commerciale. "Vendicarsi imponendo tariffe proprie non è nell'interesse del Giappone", ha detto aggiungendo che "ci sono molte opzioni".
India
L'India ha ricevuto un salasso del 26%. Come il Giappone, anche la quinta potenza economica mondiale non entrerà, almeno nell'immediato, in uno scontro frontale con Trump, cercando viceversa di mantenere i buoni rapporti che ha con gli Stati Uniti. Al riguardo, funzionari del governo indiano hanno riferito che il premier Narendra Modi sta concentrando gli sforzi per negoziare un accordo.
Corea del Sud
I dazi USA per la Corea del Sud ammontano al 25%, ma niente reazione da Seoul. Il leader ad interim, Han Duck-soo, ha scelto la strada del negoziato attraverso l'invio negli Stati Uniti del suo ministro del commercio.
Indonesia
Per l'Indonesia scattano prelievi del 32%. Il presidente Pradowo Subianto ha scelto anch'egli la linea morbida, attraverso l'invio di una delegazione per negoziare le tariffe. Nel frattempo ha ordinato la semplificazione dei regolamenti e l'allentamento delle barriere non tariffarie nei rapporti con gli Stati Uniti.
Taiwan
Taiwan è uno Stato molto importante per le aziende americane, soprattutto per colossi come Nvidia e Apple che vi esternalizzano la produzione. L'isola è stata colpita da una tariffa del 32%, un vero salasso vista l'importanza che il Paese riveste. Tuttavia, il presidente Lai Ching-te non ha intenzione di vendicarsi applicando prelievi o restrizioni di qualsiasi genere e anzi si impegnerà a migliorare i dazi reciproci attraverso colloqui con gli Stati Uniti.
Secondo l'ufficio presidenziale, una base è attuare "tariffe zero" e aumentare gli investimenti in USA da parte di industrie come l'elettronica, la petrolchimica e il gas naturale. Questo non significa che Taiwan accetterà tutto. Anzi, all'inizio aveva definito le tariffe "irragionevoli", annunciando un piano di sostegno alle aziende locali per 2,7 miliardi di dollari USA.
Vietnam
Anche il Vietnam è uno Stato chiave per il commercio statunitense, vista la quantità importante di materie prime, materiali, componenti importate dalle aziende americane, nonché per la delocalizzazione della produzione di beni di consumo. Per il Paese però è arrivata una batosta autentica: dazi reciproci del 46%. Il governo vietnamite si è offerto di rimuovere tutti i dazi sulle importazioni statunitensi, chiedendo il rinvio delle tariffe USA di almeno 45 giorni dopo il 9 aprile.