Molti ricordano la bolla immobiliare dei primi anni 2000 negli Stati Uniti il cui scoppio nel 2008 portò a una crisi economica e finanziaria mondiale che si trascinò a lungo. Qualche decennio prima, però, ci fu un'altra bolla dagli effetti sanguinosi, consumatasi in Giappone e in grado di mettere in ginocchio l'economia di un'intera nazione. Quanto accadde nella seconda economia asiatica negli anni '80 fu qualcosa di indimenticabile, al punto che si è parlato del decennio perduto per descrivere ciò a cui il Sol Levante è andato incontro a seguito di quella catastrofe.
Bolla immobiliare giapponese: genesi e sviluppo
Dal 1955 al 1990, il valore di mercato del mercato immobiliare giapponese era cresciuto di oltre 75 volte e aveva raggiunto una stima di quasi 20.000 miliardi di dollari. Non sono cifre a caso, ma hanno un significato importante per definire la portata della questione, perché corrispondevano a oltre il 20% della ricchezza mondiale e a circa il doppio del valore di mercato di tutte le Borse del pianeta.
Nel 1990 i beni immobiliari giapponesi valevano cinque volte quelli americani. Si trattava di un numero mostruoso, se si pensa che l'estensione territoriale degli Stati Uniti è ben 25 volte quella del Giappone.
All'apice delle quotazioni alla Borsa di Tokyo, le azioni giapponesi avevano un valore di mercato di 4.000 miliardi di dollari, corrispondenti a 1,5 volte il valore di tutte le azioni quotate a Wall Street e al 45% della capitalizzazione di tutte le società quotate nel mondo. Per non parlare dei multipli. In media i titoli nipponici scambiavano a 60 volte gli utili, a fronte di 15 volte delle azioni USA. Se si rapportava il prezzo delle azioni al valore contabile, si superavano le 5 volte, mentre prendendo a riferimento i dividendi si andava oltre le 200 volte.
Quando si crea una bolla, c'è un innesco di solito; la follia generale poi fa il resto. L'euforia prende il sopravvento sulla ragione e si perdono di vista i valori fondamentali degli assets. L'innesco in questo caso furono i tassi di interesse molto bassi che attivarono il meccanismo di prendere a prestito denaro facile per investirlo negli immobili. Giocoforza, i prezzi delle case crebbero velocemente fino ad andare completamente fuori controllo. I ruggenti anni '80 favorivano quel clima di entusiasmo e la voglia di investire si trasmise alle azioni in Borsa.
Si era così tanto perso il senno che si propinavano le giustificazioni più assurde alle valutazioni folli. Ad esempio, si raccontava la storia che il rapporto price/earnings dei titoli giapponesi fosse molto più alto di quello dei colleghi americani perché gli ammortamenti nella contabilità delle aziende nipponiche fossero molto più elevati, abbassando in questo modo il livello dell'utile al denominatore del multiplo. Tra l'altro, gli utili giapponesi non includevano i proventi delle società controllate con quote di minoranza.
Anche il discorso del prezzo superiore a cinque volte il valore contabile poteva essere chiarito. La giustificazione proposta era che il valore contabile non rispecchiasse la crescita del valore dei terreni posseduti dalle aziende giapponesi. In sostanza, sarebbe stato solamente un artifizio contabile a spiegare certi numeri nella valutazione della azioni alla Borsa di Tokyo. Tuttavia, nessuna delle scusanti stava in piedi. Anche una volta adeguati i multipli per tenere conto delle misure proposte, i numeri erano comunque eccessivi.
Lo scoppio della bolla immobiliare giapponese
In quel periodo, lo yen si era rafforzato molto grazie a un contesto di fiducia verso gli asset giapponesi. Quindi la domanda di valuta per effettuare le operazioni era molto elevata. Questo però metteva in difficoltà l'economia del Giappone, che traeva gran parte della sua forza dalle esportazioni. La moneta forte rendeva sempre più difficile per il Paese esportare. Inoltre, i prezzi delle case crebbero molto più rispetto agli affitti, il che implicava rendimenti immobiliari sempre più bassi. Tale meccanismo preparò il terreno per un crollo della domanda degli immobili da investimento.
Tuttavia, come diceva il grande investitore
Warren Buffett, "per ogni bolla c'è sempre uno spillo che attende al varco". E in questo caso,
lo spillo che fece scoppiare la bolla immobiliare giapponese fu la decisione della Bank of Japan di frenare il credito e alzare i tassi di interesse per combattere l'inflazione generalizzata innescata dalla frenesia dei prestiti e dal boom di liquidità.
L'effetto sismico sui mercati azionari fu devastante. Il collasso della Borsa di Tokyo è paragonabile a quello di Wall Street tra la fine del 1929 e la metà del 1932. Nelle ultime giornate gloriose degli anni '80 l'indice Nikkei raggiunse circa 40.000 punti; ad agosto del 1992 precipitò a 14.309 registrando un tracollo del 63% dai top. Ben presto i multipli tornarono ai valori in linea con il loro andamento storico. Il mercato immobiliare subì lo stesso destino, con i prezzi che si sgonfiarono rapidamente.
Il decennio perduto
Per rivedere i livelli dei massimi storici del Nikkei si è dovuto attendere ben quattro decenni, ossia al 2024. Nel frattempo, le quotazioni hanno riflesso le problematiche dell'economia del Paese, alle prese con un lungo periodo di deflazione e con il rapporto debito pubblico/PIL più alto del mondo. Dopo lo scoppio della bolla, il Giappone attraversò una grave crisi economica e politica, al punto che gli studiosi parlarono del decennio perduto per descrivere il periodo che va dal 1991 al 2000. In seguito l'espressione fu estesa includendo anche il decennio 2001-2010 e per questo si parlò di ventennio perduto.
In tutto l'arco temporale si registrò una contrazione del Prodotto Interno Lordo e dei prezzi al consumo, mentre i salari reali registrarono a una riduzione media annuale dello 0,28%. Solo la gigantesca politica di stimolo fiscale messa in atto con il nuovo millennio dall'ex presidente del Giappone Shinzo Abe - denominata Abenomics - e la politica monetaria largamente accomodante dell'ex governatore della Banca centrale Hiruhiko Kuroda, hanno permesso al Giappone a riprendersi dalla deflazione e a tornare a crescere.
Quanto successo alla fine del secolo scorso però ha segnato in maniera indelebile il Paese. Ed è per questo che le istituzioni si muovono con molta prudenza nell'attuazione delle proprie politiche, per evitare cioè il rischio che uno shock di quelle proporzioni possa ripetersi.