L'acquisto di Wells Fargo è stato uno dei più controversi mai fatti da Warren Buffett. Il leggendario investitore non ha mai straveduto per le banche. Negli anni '80 ebbe una brutta esperienza con la banca d'affari Salomon Brothers, coinvolta in uno scandalo legato alle aste sui titoli di Stato. Fu allora che Buffett cristallizzò la sua opinione sull'importanza della reputazione. In una testimonianza al Congresso riguardo quel caso, l'oracolo di Omaha pronunciò queste parole: "se perdi soldi per l'azienda sarò comprensivo, ma se fai perdere all'azienda anche solo un briciolo di reputazione sarò spietato".
Le banche inoltre non fanno parte di quelle società, tanto amate da Buffett, che producono un bene o un servizio differenziato. Eppure il 94enne diverse volte ha investito il suo denaro - o meglio quello della Berkshire Hathaway che gestisce - in istituti di credito. Questo perché, nonostante tutto, Buffett è stato sempre convinto che anche gli investimenti nelle banche possono essere molto redditizi se esse sono ben gestite.
Warren Buffett: l'acquisto di Wells Fargo
L'acquisto delle azioni Wells Fargo è stato realizzato in un contesto molto particolare. Nel 1990 gli investitori stavano abbandonando le banche in California perché nella Costa Ovest stava scoppiando una bolla immobiliare nel timore di una possibile recessione. Nel ramo dei mutui, Wells Fargo era l'azienda di credito più esposta e gli investitori consapevoli del rischio in corso vendevano le azioni in Borsa. A ottobre del 1990 lo short interest - quota delle vendite allo scoperto sulle azioni totali - della banca era arrivato al 77%. Le azioni Wells Fargo erano precipitate a meno di 60 dollari, dagli 86 dollari di inizio anno.
Quello fu il momento di scendere in campo per Warren Buffett. La Berkshire acquistò 5 milioni di azioni a una media di prezzo di 57,88 dollari ciascuna, con un esborso di 289 milioni di dollari. Con quell'operazione, il conglomerato finanziario era diventato il principale azionista della banca americana con una quota del 10%. Insomma, da un lato vi erano i venditori allo scoperto che davano l'istituto di credito prossimo al fallimento, dall'altro Buffett che invece vedeva in Wells Fargo un'occasione ghiotta di investimento.
I motivi dell'investimento
Ma cosa spinse realmente Buffett a puntare su una banca così in difficoltà? Innanzitutto, il re del value investing conosceva le dinamiche economiche delle banche perché ci aveva avuto a che fare in diverse occasioni. In precedenza, la Berkshire aveva prima acquisito e poi dismesso una partecipazione del 98% nell'Illinois National Bank and Trust Company. Poco prima dell'affare Wells Fargo, aveva comprato Salomon Brothers, per quanto come abbiamo visto dovette poi risolvere diversi problemi. L'esperienza consolidata fece capire un concetto fondamentale a Buffett, ovvero che una banca è redditizia se eroga mutui in maniera responsabile e limita i costi.
Chiaramente Wells Fargo non era Coca-Cola. Quest'ultima per Buffett mai nella vita potrebbe fallire, mentre una banca sì se la dirigenza commette errori marchiani, ad esempio concedendo mutui e finanziamenti che nessuna persona ragionevole prenderebbe mai in considerazione. Se invece i manager fanno il loro dovere, Buffett è convinto che una banca sia in grado di generare anche un ritorno del 20% sul capitale, ovvero più della media delle imprese.
In sostanza, egli era convinto che il management di Wells Fargo fosse all'altezza. Anzi, ha spesso dichiarato che la banca si è dotata dei migliori dirigenti del settore. All'epoca Wells Fargo era gestita da Carl Reichardt, che secondo Buffett agiva a beneficio degli azionisti, per quanto non avesse attuato grandi politiche di dividendi e riacquisti di azioni. Il top manager però sapeva controllare i costi e, una volta reso il business profittevole, si metteva alla ricerca di nuovi modi per incrementare gli utili.
Quando Buffett comprò il 10% di Wells Fargo, la banca aveva un valore di mercato di 3 miliardi di dollari, ma lui la valutava per più del doppio. Tuttavia, la situazione di infiammabilità dei mutui in California in quel periodo era un rischio evidente. Nei due anni successivi all'acquisto da parte della Berkshire, Wells Fargo dovette fare accantonamenti per possibili perdite molto pesanti, che impattarono negativamente sull'utile aziendale. Al punto che portarono Buffett a dichiarare di aver sottovalutato sia la gravità della recessione in California sia i problemi immobiliari della banca.
Il guru della finanza allora vedeva un altro rischio, intrinseco all'attività dell'istituto di credito, ovvero una possibile contrazione del mercato o da panico tale da mettere a repentaglio la stabilità finanziaria. Buffett tuttavia aveva stimato che la probabilità che tutti questi rischi si verificassero contemporaneamente fosse molto bassa. Andando ai numeri, Wells Fargo generava circa un miliardo di utili prima delle imposte all'anno. Se i 48 miliardi dei mutui che la banca aveva in portafoglio fossero diventati problematici per una quota del 10% nel 1991 producendo perdite per circa il 30% del capitale erogato, l'azienda avrebbe chiuso in pareggio. Una probabilità, questa, che Buffett considerò esigua.
In quell'occasione, l'investitore dichiarò che la Berkshire ama acquistare attività che non fanno utili per un anno se poi in futuro rendono circa il 20% del capitale. Alla fine ebbe ragione lui: le azioni di Wells Fargo salirono a 137 dollari nel 1993, più del doppio rispetto al prezzo al quale le aveva acquistate. "Le attività bancarie non devono necessariamente essere un cattivo investimento, anche se spesso si rivelano tali. Il punto è che i banchieri non dovrebbe fare sciocchezze, come spesso fanno", disse Buffett.