Philip Arthur Fisher è stato uno dei mentori di Warren Buffett e già questo la dice lunga sulla portata del personaggio. Economista e grande investitore, iniziò la sua carriera nel mondo della finanza nel periodo della
Grande Recessione del '29, in cui maturò la convinzione di quanto i
mercati fossero inefficienti e dell'opportunità di ottenere grandi guadagni che offre l'individuazione di azioni sottovalutate. Quindi, investire non era per Fisher un gioco in cui vengono lanciate freccette su un bersaglio, ma uno studio accurato dell'azienda che emette un'azione.
A suo giudizio, per ottenere buone performance occorreva dimenticarsi dell'orizzonte temporale breve, ma bisognava dare il tempo al mercato di allinearsi al reale valore di una società. Di conseguenza, Fisher ignorava la performance di un anno, ma si basava su quella di un periodo di molti anni per considerare se valesse la pena puntare i propri soldi.
Fisher divideva le aziende di successo in due tipologie: quelle fortunate e capaci e quelle fortunate perché capaci. Rispetto al primo caso, nel secondo la fortuna è frutto della capacità e non separata da essa. Gli eventi (fortunati) sono una conseguenza dell'abilità del management di prendere determinate misure e avere le intuizioni corrette. Ad esempio inserendosi in nuovi mercati contigui a quello di riferimento, sfruttando poi alcuni cambiamenti casuali e favorevoli che avvengono in quei mercati. Nel primo caso, la fortuna non è generata dalla capacità, ma grazie a questa l'azienda è in grado di sfruttarla.
Philip Fisher: il metodo "scuttlebutt"
Come Benjamin Graham - l'altro mentore di Buffett -, Philip Fisher apparteneva alla scuola del value investing, ossia dell'investimento basato sui fondamentali di un'azienda e non sugli umori dei mercati. In altri termini, niente analisi tecnica, ma solo fondamentale. Il punto è trovare azioni il cui valore intrinseco sia effettivamente superiore (di molto) al prezzo di mercato in modo da trarne profitto nel momento in cui i due valori si allineano.
Graham ha inventato il concetto di margine di sicurezza, per descrivere una situazione in cui un'azienda è talmente sottovalutata che anche se si compiesse qualche errore di valutazione si avrebbe un cuscinetto ampio per tenersi al riparo da perdite disastrose.
Tutto sta quindi nel calcolare il valore intrinseco di un'azione. E qui, però, il pensiero dei fautori del value investing non è proprio lo stesso, pur mantenendo un medesimo concetto di fondo. Philip Fisher ha portato avanti il metodo dello "scuttlebutt". Tradotto in italiano, il termine indica "vociferazioni". In pratica, consiste nel fare le proprie valutazioni sulla base delle voci raccolte. Di chi? Degli stakeholders, ovvero di tutte le persone che hanno a che fare con l'azienda.
Fisher riteneva che, se non hanno paura di essere citate e se si pongono loro domande intelligenti, quasi tutte parlano volentieri dell'attività in cui sono coinvolte. Il primo passo è quello di contattare cinque aziende concorrenti a quella su cui si desidera investire. Occorre chiedere riguardo i punti di forza e debolezza di ognuna di esse e ci si fa un quadro dettagliato e accurato di tutte e cinque.
Questo ovviamente non basta. Bisogna ricorrere a fonti preziose quali possono essere i fornitori e i clienti dell'azienda. Essi possono dare un giudizio sulle persone con cui interagiscono, sulla loro onestà, correttezza, puntualità nei pagamenti e nei servizi elargiti, e su tutto ciò che attiene all'ecosistema della società. Altri dati interessanti possono venire dalle associazioni di categoria, dai ricercatori all'università, negli enti governativi e nelle aziende concorrenti.
Chiaramente occorre parlare con il management (se ci si riesce) e con le persone che lavorano all'interno dell'azienda - dai dirigenti agli operai - per farsi un'idea dell'ambiente di lavoro e di come ciò possa influire sulla capacità del gruppo di crescere e produrre ricchezza.
Infine, c'è una categoria di soggetti che va considerata con molta delicatezza, ossia gli ex-dipendenti. Questi possono essere una miniera d'oro informativa in quanto più predisposti a parlare liberamente dei punti di forza e di debolezza della società in cui lavoravano. Tuttavia, rischiano di essere un'arma a doppio taglio, perché il loro giudizio può essere macchiato da motivi di risentimento, soprattutto se ritengono di essere licenziati ingiustamente. A quel punto le loro informazioni potrebbero essere fuorvianti. Dunque, è importante riuscire a tarare quanto riferito dal pregiudizio e cogliere quanto di veritiero esista nelle loro dichiarazioni. Cosa non sempre facile.
In tutti questi casi è fondamentale comunque rispettare due condizioni. In primo luogo, bisogna avere la capacità di dimostrare che la propria fonte di informazione non verrà rivelata. In secondo luogo, occorre mettere in pratica questa politica. Una volta raccolte tutte le notizie da soggetti disparati che interagiscono o hanno interagito con l'azienda, si è in grado di costruirsi un'idea granitica sulla solidità dell'azienda sotto tutti i punti di vista e quindi su quale probabilità abbia l'investimento in essa di essere profittevole. Tutto ciò senza la necessità che ogni opinione collimi con l'altra.
Se si è di fronte a una società eccellente, le informazioni positive saranno preponderanti su quelle negative. Quindi, si hanno elementi più che sufficienti per procedere al passo successivo e acquistare le azioni.
Funziona il metodo?
Philip Fisher considera il metodo "scuttlebutt" l'unico, o il migliore, per valutare un'azienda e le sue azioni, e ciò ha avuto un riscontro positivo nei suoi investimenti per decenni. Quindi, a suo giudizio, funziona. Tuttavia, tale metodo non è stato scevro da critiche da parte di altri economisti e studiosi della materia.
A loro avviso, è un metodo molto dispendioso in termini di energie, tempo e anche denaro senza avere la certezza che poi si arrivi al risultato sperato. Tra l'altro, il rischio è di trovarsi a impiegare così tante risorse per ottenere tutte le informazioni del caso, che non sempre corrispondono alla realtà, per poi scoprire che non ci sono le condizioni per fare l'investimento. A quel punto, la sensazione che matura è quella di aver sprecato tempo prezioso che avrebbe potuto essere utilizzato per un'analisi accurata e più rapida che arrivasse allo stesso obiettivo.