Benjamin Graham aveva un concetto di diversificazione un po' diverso da come lo si definisce in generale. La diversificazione è intesa come non concentrare il portafoglio di investimento in un unico titolo o in asset che hanno una correlazione positiva. Se ad esempio si crea un paniere di dieci titoli facenti parte a un unico settore, non si sta attuando una diversificazione, perché di norma le azioni tendono a muoversi nella stessa direzione. Viceversa, se si investe in più titoli appartenenti a branche diverse, allora si ripartisce il rischio tra più attività.
La diversificazione può avvenire per settore, ma anche per tipologia di asset (azioni, obbligazioni, valute, materie prime, ecc.), per tipologia nell'ambito del singolo asset (azioni value e azioni growth, obbligazioni investment grade e obbligazioni high yield, valute major e valute ad alto rendimento, ecc.), per area geografica e altri criteri. L'obiettivo è quello di ridurre il rischio complessivo del portafoglio ripartendolo tra le varie attività.
La classica strategia di portafoglio 60/40 è un esempio di diversificazione, perché prevede il 60% dell'investimento in azioni e il 40% in obbligazioni. Tradizionalmente le azioni e le obbligazioni sono caratterizzate da una correlazione inversa. Quindi, allorché il mercato azionario si muove al ribasso per via di turbolenze di mercato, le obbligazioni fanno da tampone in quanto gli investitori si rifugiano nel reddito fisso.
Benjamin Graham: il margine di sicurezza e la diversificazione
Benjamin Graham esortava gli investitori a variare il proprio portafoglio, ma basandosi su un criterio diverso di diversificazione. Innanzitutto, il padre del value investing partiva dal concetto di
margine di sicurezza. Si tratta di un valore insito nell'investimento che permette a un soggetto di mettersi al riparo da una errata valutazione e di limitare le perdite. Banalmente, se si valuta un asset 100 rispetto a 60 che risulta da determinati parametri come il prezzo di mercato, allora si è ottenuto un margine di sicurezza di 40. Questo rappresenta un cuscinetto sufficiente nel caso in cui alla fine il valore risulti inferiore a 100.
Per le azioni, il mentore di Warren Buffett definiva il margine di sicurezza come differenza tra il valore intrinseco di una società è il suo valore di mercato. Quanto più questa differenza è elevata, tanto maggiore risulta sicuro il proprio investimento. Per determinare il valore intrinseco, secondo Graham, si può fare riferimento all'earning power di un'azienda, ossia alle aspettative di guadagno di anno in anno se non cambiano le condizioni di mercato.
Un altro modo per calcolare il margine di sicurezza è quello di raffrontare l'earning power con il rendimento corrente per le obbligazioni. Se ad esempio, il rendimento degli utili è pari al 10% e quello delle obbligazioni al 5%, il margine di sicurezza annuo è del 5%, di cui una parte viene corrisposta in dividendi. Per quanto riguarda le obbligazioni, Benjamin Graham calcolava il margine di sicurezza come la differenza tra il valore totale dell'azienda e l'ammontare del debito della stessa. Se l'azienda, ad esempio, vale 30 miliardi di dollari e ha un indebitamento complessivo di 10 miliardi di dollari, il margine di sicurezza è 2/3 del valore aziendale. Ossia, questo può scendere di tale cifra prima che gli obbligazionisti vadano in perdita.
Partendo da questi presupposti, Graham riteneva che ci fosse uno stretto legame tra margine di sicurezza e diversificazione. Su un singolo titolo il margine può non bastare, nel senso che questo garantisce soltanto una migliore probabilità di profitto piuttosto che di perdita, ma non rende impossibile la perdita. Tuttavia, con l'aumentare del numero di investimenti in cui esiste un margine di sicurezza, diventa sempre più probabile che l'aggregato dei profitti risulti superiore all'aggregato delle perdite. Accettando quindi il principio del margine di sicurezza, si può costruire una strategia basata sulla diversificazione.