Donald Trump ha nuovamente acceso lo scontro con il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell. Secondo indiscrezioni riportate dalla CNBC e dal New York Times, l’ex presidente avrebbe addirittura redatto una bozza di lettera per rimuovere Powell dal suo incarico, anche se in seguito ha negato che la decisione fosse imminente. Tuttavia, non ha escluso che possa accadere.
La pressione politica sulla Federal Reserve non è una novità assoluta nella storia americana. Anche George H.W. Bush, all’epoca della sua sconfitta elettorale, attribuì parte della responsabilità al presidente della Fed di allora, Alan Greenspan, reo di non aver tagliato i tassi con sufficiente tempestività. Ma nessun presidente, sottolineano gli osservatori, ha mai esercitato una pressione tanto esplicita e continuativa come Trump (Fed: Powell replica alla Casa Bianca su ristrutturazione edifici).
Il tema non è solo politico, ma anche profondamente economico e strategico. Secondo Michael Hartnett, strategist di Bank of America, le ragioni dietro l’insistenza di Trump sul taglio dei tassi sono principalmente legate alla struttura della spesa pubblica americana.
“La spesa pubblica USA ammonta a 7 trilioni di dollari – osserva Hartnett – ma Trump non può toccare i 4 trilioni di spesa obbligatoria, ha rinunciato a tagliare 1 trilione di spesa discrezionale e non intende toccare 1 trilione destinato alla difesa”. In altre parole, senza margine fiscale, Trump guarda alla leva monetaria per sostenere crescita e consensi.
I mercati tremano: come posizionarsi nel caso di licenziamento di Powell
Wall Street continua ad aggiornare i massimi storici nonostante la possibilità, concreta, di un cambio forzato alla guida della Federal Reserve, un'eventualità che scuoterebbe le fondamenta dell’equilibrio tra potere politico e indipendenza monetaria negli Stati Uniti.
Ma cosa accadrebbe se davvero Powell fosse rimosso? Hartnett ha provato a rispondere a questa domanda nel suo report settimanale Flow Show. Secondo lo strategist, l’eventuale destituzione del presidente della Fed – accompagnata da un ciclo di tagli dei tassi in assenza di recessione – cambierebbe drasticamente l’asset allocation.
“In uno scenario di cambio forzato alla Fed, con tagli in arrivo nonostante l’economia non sia in recessione, le migliori strategie sono:
- short sul dollaro USA (per via della svalutazione),
- long su oro e criptovalute (hedge contro l’anarchia),
- short sui Treasury a 30 anni (la Fed taglia in un boom, non in un bust),
- long su un portafoglio bilanciato composto da tech USA e value nei mercati sviluppati ed emergenti (per coprire la bolla)”.
Un mix che riflette sia la perdita di fiducia nella stabilità istituzionale sia l’aspettativa di una politica monetaria accomodante a prescindere dal ciclo economico. Intanto, i clienti di Bank of America continuano a scommettere sull’azionario: solo questa settimana, hanno investito ben 4,8 miliardi di dollari in titoli, segno che la voglia di rischio non è ancora svanita, ma convive con una crescente esigenza di protezione e diversificazione.

Indipendenza della Fed a rischio?
Il rischio che Trump possa realmente rimuovere Powell, in caso di ritorno alla Casa Bianca, solleva una questione di fondo sulla tenuta dell’indipendenza della Federal Reserve. Se un presidente può cambiare il governatore in base alle sue preferenze politiche, quale credibilità resterebbe alla Banca centrale? La fiducia nei mercati si fonda in gran parte sulla prevedibilità e sull’autonomia della Fed, elementi che verrebbero fortemente compromessi da una mossa del genere.
La visione di Hartnett è chiara: stiamo entrando in una nuova fase in cui le politiche economiche non rispondono più esclusivamente alla logica dei fondamentali, ma sono sempre più condizionate da calcoli elettorali e narrazioni populiste.