La settimana che precede il Natale risulta ricca di appuntamenti con le Banche centrali.
Giovedì 18 dicembre la Banca Centrale Europea e la Bank of England annunceranno la loro decisione sui tassi di interesse, mentre il giorno dopo - il 19 dicembre - sarà il turno della Banca centrale giapponese. Vediamo cosa si aspettano gli esperti per gli ultimi meeting del 2025.
BCE verso una pausa prolungata: economia resiliente e tassi invariati
La BCE si avvia a confermare un’impostazione prudente e attendista, mantenendo invariati tassi di interesse e forward guidance. Il consenso tra economisti e asset manager è che la soglia per un aggiustamento della politica monetaria resti elevata, in un contesto macro che mostra segnali di resilienza superiori alle attese.
Secondo Henry Cook, senior economist di MUFG Bank, la BCE è pronta a ribadire la narrativa del “buon posto”, sottolineando come l’attuale livello dei tassi sia coerente con il quadro economico e con le aspettative di mercato, che prezzano una sostanziale stabilità nel corso del prossimo anno.
Il recente riprezzamento dei mercati verso un possibile taglio dei tassi nel 2026 accrescerà tuttavia l’attenzione sulle nuove proiezioni macroeconomiche e sulla comunicazione della presidente Christine Lagarde, che potrebbe lasciare intendere un prolungamento della fase di pausa.
Le nuove stime dovrebbero riflettere una revisione al rialzo delle previsioni di crescita, alla luce della sorpresa positiva del PIL e dei segnali incoraggianti provenienti dagli indicatori anticipatori, che suggeriscono uno slancio economico in estensione fino al 2026.
Anche l’inflazione “core” potrebbe essere rivista leggermente al rialzo, ma l’effetto dovrebbe essere compensato, nelle proiezioni sull’inflazione complessiva, dal calo dei prezzi dell’energia e degli alimentari.
Gli effetti base e il rinvio dell’estensione del sistema europeo di scambio delle emissioni indicano inoltre un periodo prolungato di inflazione sotto il target a partire dal prossimo anno.
La BCE sembra quindi intenzionata a mantenere la rotta, bilanciando i rischi di crescita e le pressioni inflazionistiche in un contesto ancora incerto. Pur restando più probabile un taglio dei tassi rispetto a un rialzo nel corso del 2026, la Banca centrale appare soddisfatta dell’attuale assetto di politica monetaria, pronta a intervenire solo in presenza di shock significativi o di un cambiamento sostanziale delle condizioni economiche.
Bank of England divisa, ma cresce l’attesa per un taglio dei tassi
La riunione della Bank of England del 18 dicembre si preannuncia particolarmente delicata, con il Monetary Policy Committee profondamente diviso sull’orientamento della politica monetaria.
All’interno del comitato, quattro membri spingono per un allentamento più rapido dei tassi, mentre altri quattro mantengono una posizione opposta, preoccupati dai rischi di inflazione ancora elevati. In questo equilibrio instabile, il ruolo del governatore Andrew Bailey appare decisivo, con le aspettative di mercato che puntano ormai con elevata convinzione su un taglio dei tassi già questa settimana.
I mercati attribuiscono circa il 90% di probabilità a una riduzione del costo del denaro, una valutazione che riflette l’idea che Bailey possa schierarsi a favore dei membri più accomodanti del comitato. In effetti, dalle minute della riunione di novembre è emerso come il governatore mostrasse una maggiore sintonia con l’ala più prudente, pur ritenendo allora necessario attendere ulteriori conferme sul rallentamento dell’inflazione.
Da allora, i dati si sono mossi sostanzialmente in linea, se non leggermente al di sotto, delle previsioni della BoE, rafforzando l’ipotesi di un cambio di voto e aprendo la strada a una decisione presa con una maggioranza risicata di 5 a 4 a favore del taglio, che porterebbe il tasso di riferimento al 3,75% dal 4%.
Il contesto macro, tuttavia, non offre segnali univoci. L’inflazione di ottobre ha mostrato una risalita dei prezzi alimentari e una persistente rigidità dell’inflazione dei servizi, al netto delle componenti più volatili come le tariffe aeree. Anche la Legge di Bilancio autunnale non ha inciso in modo decisivo sulle prospettive di politica monetaria.
Alcune misure, come il taglio delle bollette energetiche e il congelamento delle tariffe ferroviarie, contribuiranno a ridurre marginalmente l’inflazione headline nel 2026, ma nel complesso il bilancio pubblico dovrebbe tradursi in un lieve stimolo fiscale nel prossimo anno, piuttosto che in una stretta in grado di giustificare un’accelerazione dell’allentamento monetario.
Alla base delle divergenze nel comitato vi è una diversa lettura delle dinamiche inflazionistiche future. I membri più “dovish” sottolineano l’indebolimento del mercato del lavoro e il rapido rallentamento della crescita salariale, mentre i “falchi” continuano a concentrarsi sull’aumento dei prezzi alimentari e sulle persistenti rigidità dal lato dell’offerta. Nulla di quanto accaduto nelle ultime settimane sembra aver modificato in modo sostanziale queste posizioni, rendendo ancora più centrale il voto del governatore.
Guardando oltre la riunione di dicembre, lo scenario resta incerto ma orientato verso un ulteriore allentamento. I segnali provenienti dal mercato del lavoro indicano un raffreddamento progressivo:
la crescita delle retribuzioni nel settore privato è scesa su base annualizzata intorno al 2,4%, l’occupazione privata continua a contrarsi e il tasso di disoccupazione è in lieve aumento.
Parallelamente, la crescita economica continua a deludere. Il calo inatteso dell’attività in ottobre rende difficile immaginare un’espansione del PIL nel quarto trimestre, rafforzando l’argomento a favore di una politica monetaria meno restrittiva. In questo quadro, le attese sono per ulteriori due tagli dei tassi nel 2026, probabilmente a febbraio e aprile, che porterebbero il tasso di riferimento al 3,25%.
La Bank of Japan verso i tassi più alti degli ultimi 30 anni
La Bank of Japan si prepara a compiere un nuovo passo storico nella normalizzazione della politica monetaria, con un rialzo dei tassi di interesse che porterebbe il costo del denaro ai massimi degli ultimi trent’anni.
L’istituto centrale giapponese dovrebbe aumentare il tasso di riferimento a breve termine dallo 0,5% allo 0,75%, segnando il secondo rialzo dell’anno e chiudendo il 2025 con una svolta significativa rispetto al lungo periodo di tassi prossimi allo zero.
Pur rimanendo su livelli ancora contenuti rispetto agli standard internazionali, la mossa rappresenta un ulteriore tassello della strategia del governatore Kazuo Ueda, impegnato a riportare la politica monetaria giapponese verso una configurazione più ordinaria dopo decenni di stimoli eccezionali.
Il rialzo riflette la crescente convinzione della BoJ che il Paese stia finalmente consolidando un ciclo virtuoso di inflazione sostenuta e aumenti salariali, condizione ritenuta essenziale per giustificare un aumento duraturo del costo del credito.
L’inflazione, sostenuta in particolare dall’elevato costo dei beni alimentari, si mantiene sopra il target del 2% da quasi 4 anni. A rafforzare la fiducia della BoJ contribuiscono anche le prospettive sul fronte dei salari: un’indagine pubblicata di recente indica che la maggior parte delle filiali regionali della banca centrale si attende nuovi aumenti retributivi anche nel prossimo anno, spinti da una persistente carenza di manodopera.
Oltre al rialzo imminente, la Bank of Japan dovrebbe ribadire l’intenzione di proseguire gradualmente nel percorso di aumento dei tassi, senza tuttavia impegnarsi su un calendario preciso. L’orientamento resterà fortemente dipendente dalla risposta dell’economia a ogni singolo intervento, con l’obiettivo di avvicinare i tassi a un livello considerato neutrale, stimato dalla banca centrale in un intervallo compreso tra l’1% e il 2,5%.
Un elemento di attenzione resta il cambio. Le autorità monetarie e il governo sono consapevoli che segnali troppo prudenti potrebbero innescare nuove pressioni al ribasso sullo yen, alimentando l’inflazione importata e mettendo ulteriormente sotto stress i bilanci delle famiglie.
Sebbene un yen debole favorisca le esportazioni, un eccessivo deprezzamento rischierebbe di tradursi in un aumento dei prezzi al consumo, in un contesto in cui i salari reali restano sotto pressione. Le tensioni legate alle politiche commerciali USA e l’insediamento di un governo percepito come più accomodante sul fronte fiscale rappresentano potenziali fattori di incertezza.
Inoltre, sebbene il numero di aumenti dei prezzi nel comparto alimentare dovrebbe ridursi sensibilmente nel 2026, un’eventuale accelerazione del deprezzamento dello yen potrebbe riaccendere le pressioni inflazionistiche, complicando le scelte della BoJ.