Nel cuore della democrazia economica americana batte un’istituzione che, più di ogni altra, deve rimanere al riparo dai venti della politica: la Federal Reserve. Eppure, secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, l'ex presidente Donald Trump starebbe considerando l’ipotesi di nominare, con quasi un anno d’anticipo, il successore di Jerome Powell alla guida della Banca centrale. Un’azione che, se portata avanti, metterebbe a repentaglio uno dei pilastri più preziosi dell’economia statunitense: l’indipendenza della Fed.
A denunciare le possibili conseguenze di questa mossa è Ron Insana, autorevole analista economico e collaboratore della CNBC. In un commento acceso e lucido, Insana avverte: “No, no, mille volte no”. Una dichiarazione che risuona come un grido d’allarme contro la politicizzazione di una delle istituzioni più strategiche del sistema economico mondiale.
Un’ombra sul presidente della Fed
Trump, riporta l'autorevole testata, starebbe preparando il terreno per nominare una sorta di "presidente ombra" della Fed, creando un’alternativa parallela alla guida attuale, con l’obiettivo di condizionare le decisioni di Powell fino alla scadenza ufficiale del suo mandato. Una strategia che, secondo Insana, “avrebbe conseguenze durature per l’indipendenza della Fed, tanto quanto il tentativo di alcuni presidenti di ‘riempire’ la Corte Suprema”.
Nelle ultime settimane, l’ex presidente ha rivolto duri attacchi personali a Powell, definendolo un “idiota” o uno “stupido” per non aver tagliato i tassi di interesse. Ma ciò che si profila oggi è qualcosa di ben più grave: una forzatura istituzionale che riscrive le regole non scritte del rapporto tra politica monetaria e potere esecutivo.
Perché l’indipendenza della Fed conta
La Fed ha un doppio mandato stabilito per legge: garantire la massima occupazione e mantenere la stabilità dei prezzi. Due obiettivi che richiedono scelte tecniche, non tattiche politiche. L’idea di un presidente degli Stati Uniti che orienta – o peggio, impone – le decisioni della Banca centrale compromette l’equilibrio fragile tra autorità politica ed efficienza economica.
Insana ricorda che nemmeno Richard Nixon, pur cercando dietro le quinte di influenzare l’allora presidente della Fed Arthur Burns in vista della rielezione del 1972, osò arrivare a tanto. Da allora, la regola d’oro è stata quella del rispetto dell’autonomia: una Fed indipendente è considerata da decenni un requisito essenziale per la credibilità della politica monetaria e la solidità economica degli Stati Uniti.
Il rischio di perdere la fiducia dei mercati
Una Fed politicizzata rischierebbe di compromettere la fiducia degli investitori nazionali e internazionali nei confronti dei Treasury bond americani e del dollaro. Lo stesso Insana avverte che un simile scivolamento “renderebbe sospetta la sicurezza e l’affidabilità del dollaro e dei titoli di Stato americani”, soprattutto in un contesto globale dove la concorrenza valutaria è sempre più agguerrita.
Non è un caso che il dollaro abbia già mostrato segnali di debolezza, secondo Insana, “riflettendo un chiaro dissenso verso l’attacco all’indipendenza della Fed”. Se gli operatori dovessero davvero temere un indebolimento strutturale dell’istituzione monetaria americana, gli effetti potrebbero essere devastanti per i mercati: fuga dai Treasury, aumento dei rendimenti e, in ultima analisi, una crescita esplosiva del debito pubblico.
I nomi in gioco e le vere preoccupazioni
Tra i candidati che circolano nei corridoi trumpiani per succedere a Powell figurano nomi noti nell’universo conservatore: Scott Bessent, Kevin Hassett, Kevin Warsh e David Malpass. Tuttavia, per Insana il problema non è chi, ma come: “il punto non è chi sarà il prossimo presidente della Fed. La questione è il processo e la politica di sovvertire un presidente della Fed in carica – ed è questo che mi preoccupa di più”.
La storia recente ci fornisce numerosi esempi di ciò che accade quando le Banche centrali diventano strumenti politici: Venezuela, Turchia, Argentina sono casi emblematici dove la perdita di indipendenza ha portato a iperinflazione, svalutazioni massicce e instabilità permanente.
Il paragone può sembrare estremo, ma la logica sottostante è identica: dove la moneta è controllata dalla politica, la fiducia evapora e il caos avanza. Insana lo dice senza mezzi termini: “se mai dovesse emergere dall’ombra un nominato preventivo per la guida della Fed, io scapperei a gambe levate”.