Goldman Sachs ha rivisto al rialzo le previsioni sui tagli dei tassi della Federal Reserve (Fed). Ora gli economisti della banca d'investimento americana scommettono su tre riduzioni del costo del denaro nei mesi di luglio, settembre e novembre, mentre in precedenza avevano puntato su due tagli quest'anno e uno nel 2026. A far cambiare il giudizio di Goldman è stata la politica tariffaria del presidente degli Stati Uniti Donald Trump che, impattando negativamente sulla crescita del Paese, costringerà la Fed a una posizione più accomodante.
L'inquilino della Casa Bianca attuerà
dazi reciproci sull'Unione europea del 15%, osservano gli economisti, aumentando in questo modo l'aliquota effettiva totale di 20 punti percentuali dall'inizio del 2025. Il team guidato da Jan Hatzius ritiene che i prelievi più elevati faranno
salire l'inflazione americana, che si attesterà al 3,5% quest'anno per quanto riguarda i consumi core.
Inoltre, comporteranno una diminuzione della crescita USA, con il PIL che salirà solo dell'1%, rispetto a una precedente previsione di 1,5 punti percentuali. A completare il quadro, un tasso di disoccupazione che a fine 2025 sarà del 4,5%, +30 punti base rispetto alla stima precedente. In questo contesto che si potrebbe quasi definire stagflazionistico, Goldman ha alzato la probabilità di recessione a 12 mesi negli Stati Uniti dal 20% al 35%.
"I rischi al ribasso per l'economia derivanti dai dazi hanno aumentato la probabilità di un pacchetto di tagli 'assicurativi' in stile 2019, che ora vediamo come il risultato modale secondo le nostre previsioni economiche riviste", hanno scritto gli economisti di Goldman Sachs. "Sebbene la leadership della Fed abbia finora minimizzato l'aumento delle aspettative di inflazione, riteniamo che alzi l'asticella per i tagli dei tassi e, in particolare, ponga maggiore enfasi su un potenziale aumento del tasso di disoccupazione come giustificazione per i tagli".
Fed: il 2 aprile data cruciale
Nella riunione di questo mese, la Fed ha tenuto i tassi di interesse fermi nell'intervallo 4,25%-4,50%, ridimensionando l'impatto che i dazi trumpiani potessero avere sulla crescita economica e sull'inflazione degli Stati Uniti.
"A volte può essere opportuno guardare oltre l'inflazione se sta per scomparire rapidamente senza un'azione da parte nostra, se è transitoria", aveva detto in conferenza stampa il governatore Jerome Powell. L'utilizzo del termine "transitorio" da un lato però ha allarmato gli osservatori finanziari, visto che era stato già adoperato nel 2021 quando l'inflazione stava emergendo e Powell aveva pesantemente sottovalutato il problema, come poi lui stesso ha ammesso. Tuttavia, il presidente ha precisato che quello previsto è lo scenario base, ma "i funzionari della Fed non possono davvero sapere se l'effetto sarà temporaneo".
La situazione ora però si fa critica, perché dal 2 aprile partirà una sfilza di dazi che colpiranno tutti i Paesi del mondo. Trump ha stabilito tariffe del 25% sulle auto, che si aggiungono a quelle della stessa entità già in vigore su acciaio e alluminio. Inoltre, Canada e Messico saranno investiti da prelievi generalizzati del 25% e scatteranno anche i dazi reciproci con tutte le nazioni che li hanno già imposti agli USA. "Continuiamo a credere che il rischio derivante dalle tariffe del 2 aprile sia maggiore di quanto molti partecipanti al mercato abbiano precedentemente ipotizzato", hanno scritto gli economisti di Goldman.