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Il Governo argentino comunica il raggiungimento dell'accordo con i creditori per la ristrutturazione del debito;
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L'intesa prevede un allungamento delle scadenza lasciando inalterato il capitale e gli interessi;
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L'accordo evita di ricorrere all'FMI e di sottoporre quindi il Paese a riforme economiche impopolari
È stata una corsa contro il tempo. L'Argentina, di nuovo in bilico nel tentativo di evitare il nono default della sua storia, per ora è salva. Un comunicato del Governo annuncia che è stato raggiunto un accordo con i creditori per ristrutturare debiti per 66 miliardi di dollari con grandi società d'investimento americane, a partire dal più grande gestore di fondi al mondo, BlackRock.
Una settimana fa il negoziato tra il comitato dei creditori e il Governo argentino era saltato in quanto non vi era intesa sui numeri. Buenos Aires era disposta a pagare il 53,5% sul debito, i creditori chiedevano il 56,5%. Le alternative a questo punto sarebbero state o una proroga della trattativa che già aveva raggiunto una fase estenuante, oppure la dichiarazione di default e il ricorso ai prestiti del Fondo Monetario Internazionale.
Quest'ultima strada sarebbe stata intrapresa non senza un percorso irto e scosceso. L'Argentina deve all'FMI 44 miliardi di dollari e l'istituto guidato da Kristalina Georgieva ha previsto per l'economia del Paese una recessione del 10%, aggravata dall'effetto Covid. Per questa ragione a molti esperti la mossa di Buenos Aires sembrava più una strategia per mettere pressione al club degli obbligazionisti che volevano esercitare le loro pretese sul credito spettante.
Bond argentini: i termini dell'accordo
L'aggiustamento tra le parti in causa prevede uno switch del valore di 66,238 miliardi di dollari. In particolare, i titoli di debito da ristrutturare, emessi nel 2005 e nel 2010 e a partire dal 2016, saranno scambiati con nuovi titoli in dollari ed euro con scadenze nel 2029, 2030 e 2038.
In questa maniera si procrastina nel tempo il rimborso del debito senza aumentare l'importo totale dei pagamenti di capitale o degli interessi. Il Presidente Alberto Fèrnandez era stato molto chiaro spingendo ad attivare i negoziati, "non sarò il presidente del default" le sue parole.
Bond argentini: perché è stato importante raggiungere un accordo
Una volta che il patto è messo nero su bianco, si eviterà di dar vita ad un altro contenzioso tra le istituzioni della terza economia dell'America Latina e gli obbligazionisti. Il ricordo di ciò che successe nel 2001 è ancora vivo nella mente degli investitori e ripercorrerlo avrebbe significato una perdita totale di credibilità dello Stato nei confronti del popolo nazionale e degli organismi internazionali. La conseguenza sarebbe stata di una Nazione senza credito per chissà quanti anni.
Onorare almeno in parte il debito potrà dare una spinta a un'economia che è infestata dal Coronavirus e che necessita di ripartire, pur con mille difficoltà. In tal senso molti creditori hanno scommesso su una ripresa quando il Governo ha messo in piedi un piano di ristrutturazione per rilanciare il Paese. In verità le obbligazioni all'epoca sono state acquistate a prezzi stracciati e anche con un rimborso parziale alcuni investitori avranno comunque realizzato dei profitti.
Il problema di questi ultimi anni è stato che l'Argentina ha dovuto fare i conti con un'inflazione galoppante che ha falciato la crescita economica e ha creato stagflazione nel Paese. Per questa ragione l'unica soluzione era quella di cercare di ridurre il debito per evitare di impantanarsi in un circolo vizioso monetario che avrebbe inasprito ancora di più le correnti inflazionistiche.
C'è anche da rilevare che se il contenzioso fosse finito in Tribunale, così come successe per buona parte del debito nel 2001, l'esito avrebbe potuto essere devastante esattamente come allora. Infatti nel 2014 quando i creditori che furono parte in causa in quel processo dovettero essere rimborsati, l'Argentina dichiarò l'ennesimo default.
Scongiurare questo pericolo ha significato chiudere la porta a un accordo sanguinoso con l'FMI. Un aiuto da questa fonte avrebbe comportato probabilmente condizioni estremi per il Paese, come per esempio la messa a punto di riforme austere e impopolari. Soprattutto perché sarebbero arrivate nel bel mezzo della peggiore recessione economica dal dopoguerra a oggi, che ha impoverito molti strati della popolazione argentina.