Era un gioiellino, si è rivelato uno dei più grossi flop di Piazza Affari. In piena sbornia Dot-com gli investitori avevano comprato le azioni di Seat Pagine Gialle come travolti da un fuoco sacro. Nessuno probabilmente avrebbe mai immaginato un epilogo così triste e angoscioso.
Il titolo si è trovato a non valere più nulla in Borsa tra l'incredulità e lo sgomento generale. Cosa mai può essere successo a un'azienda apparentemente in piena salute che nel giro di qualche anno si è ritrovata come una cassa vuota?
Seat Pagine Gialle: il marchingegno dei maxi-dividendi
Tutto iniziò nel gennaio del 1997 con la quotazione a Palazzo Mezzanotte. Seat Pagine Gialle faceva parte del gruppo IRI-Stet e, a seguito della privatizzazione, venne scorporata. Una cordata di imprenditori privati tra cui Telecom Italia, Comit e De Agostini e che facevano capo alla società veicolo Ottobi S.p.A. s'impadronì dell'azienda acquistando il 61,2% delle quote.
L'operazione costò 1.643 miliardi di vecchie lire, ma ben 1.200 miliardi furono recuperati grazie all'elargizione di un maxi-dividendo che compensò l'esborso. Passarono 3 anni e il flusso enorme di acquisti in Borsa fece volare il titolo a 12 euro con una capitalizzazione dell'azienda che passò da 1,65 miliardi a 20 miliardi.
Nel 2000 Roberto Colaninno, a capo di Telecom, decise di puntare la quota di Ottobi S.p.A. spendendo una cifra di 10.000 miliardi di lire. Il meccanismo era lo stesso: si comprava a debito e si incassava un super dividendo a copertura. L'operazione veniva denominata leverage buy out, in realtà si trattava di un marchingegno confezionato ad arte per spolpare l'azienda.
Nel 2003 avvenne la suddivisione delle attività: Telecom Italia Media che si occupava della parte relativa alle TV e a Internet; Seat Pagine Gialle che invece manteneva tutta la parte legata ai motori di ricerca. Ecco che una serie di fondi, per la precisione Bc Partners, Cvc, Permira e Investitori Associati, lanciarono un attacco a Seat con un'OPA che li portava ad appropriarsi del 62% della società.
Anche qui l'aspetto rilevante fu che solo il 25% veniva effettivamente versato, il resto era finanziato a debito. Debito che fu trasferito sulla società, in quanto nel 2004 il dividendo distribuito ammontava a 3,57 miliardi, il che significava che la parte finanziata dagli azionisti nell'OPA venne coperta, rimanendo in essere l'esposizione di Seat nei confronti delle banche per pagare le cedole.
La montagna di debiti cominciò a crescere paurosamente e alla fine dell'anno raggiunse quota 3,9 miliardi, ossia 6 volte il margine operativo lordo dell'azienda. Questo comportava che la società avesse bisogno sempre di denaro fresco per ripagare i prestiti. La cosa cominciò a farsi preoccupante allorché nel 2006 i tassi d'interesse iniziarono a salire e l'onere del finanziamento a pesare oltremodo sulle casse aziendali.
Nel contempo Seat Pagine Gialle emise un bond a scadenza decennale, denominato Lighthouse, di 1,3 miliardi di euro con tasso cedolare dell'8% annuo.
Il debito continuò a crescere e si posero i primi problemi di sostenibilità. Tuttavia i dividendi altissimi continuarono a svuotare le finanze della società, la quale nel 2008 varò un aumento di capitale di 200 milioni di euro, approvando un piano di ristrutturazione con cui vennero licenziati 300 lavoratori e chiuse alcune controllate fuori dai confini nazionali.
Seat pagine gialle: il default obbligazionario e il crollo in Borsa
Lo stato aziendale però non migliorò e nel gennaio 2010 Seat emise un altro prestito obbligazionario a 7 anni a tasso del 10,5% per 550 milioni, cosa che venne ripetuta nove mesi dopo per 200 milioni di euro. A queste condizioni la situazione andò fuori controllo e a novembre 2011, in piena crisi dei debiti sovrani, la società dichiarò di fatto il primo default tecnico non pagando gli interessi sul debito.
Le azioni in Borsa subirono un autentico tracollo e, quando all'inizio del 2012 la società di rating Standard & Poor's modificaò il rating di Seat da CCC- a D, si capì che bisognava intervenire presto. Così, il CdA dell'azienda trovò un accordo con i creditori per ristrutturare il debito, una notizia che il mercato apprezzò. Ma il 31 agosto 2012 ci fu l'incorporazione di Lighthouse, con le azioni in circolazione che da quasi 2 miliardi diventarono più di 16 miliardi, facendo precipitare in un giorno il valore di Borsa del 67%.
Nel 2013 avvenne un altro shock: Seat annunciava il default su obbligazioni in scadenza il 31 gennaio dello stesso anno di 42,2 milioni e le azioni a Piazza Affari crollarono del 41%. Il giorno dopo le Agenzie di Rating si scatenarono declassando l'azienda e creando le premesse per il concordato preventivo, la cui richiesta venne puntualmente fatta il 4 febbraio.
Seat pagine gialle: il concordato preventivo e il delisting
Quando nel settembre del 2014 i creditori chirografari diedero il benestare per l'avvio del concordato, partì il piano di salvataggio con il raggruppamento di 1 azione ogni 100, dopo l'emissione di altri 6.400 miliardi di titoli. In realtà, con l'accordo effettuato con i creditori fu fatta la conversione dei crediti in azioni al prezzo di 0,0031 euro per azione. Molti piccoli azionisti storici in sostanza persero in pratica integralmente il capitale investito se si pensa che all'inizio del millennio le azioni valevano 12 euro.
Il 20 gennaio 2016 ci fu la fusione tra Seat Pagine Gialle e Italiaonline, dando vita all'operatore leader nel mercato italiano della pubblicità online. La società che aveva attratto quindi migliaia di investitori all'apice del successo nella Piazza milanese fu delistata e sparì definitivamente dalle scene.