Un 2025 da incubo per il dollaro USA. Secondo Bank of America, era dal 1999 che non si registrava un inizio di anno così negativo e, se il trend dovesse continuare, il biglietto verde potrebbe registrare la performance peggiore dal 1973.
Le vendite sul greenback sono state innescate dalle preoccupazioni che la guerra commerciale innescata dai dazi statunitensi possa condurre a una recessione economica degli Stati Uniti. L'accordo tra USA e Cina per congelare i dazi reciproci per 90 giorni, a distanza di un mese misure simili nei confronti degli altri Paesi, ha fatto riprendere le quotazioni della moneta americana, ma non abbastanza per parlare di un grande rimbalzo.
I dati sull'inflazione americana della scorsa settimana hanno contribuito a frenare un possibile rally del dollaro Usa, in quanto dalle letture si evince che il carovita negli Stati Uniti non sta riprendendo la sua corsa per come si temeva. Ciò significa che la
Federal Reserve sarà più propensa a tagliare i tassi di interesse, diminuendo in questo modo il rendimento dalla detenzione di dollari.
Tra l'altro, a bocce ferme, il pericolo di una recessione americana non è del tutto tramontato, dal momento che un accordo definitivo tra Washington e Pechino sui dazi difficilmente significherà l'annullamento delle tariffe. Molto dipenderà dall'entità dei prelievi su cui verrà attuato un compromesso nei 90 giorni. Più essa sarà elevata, più l'economia a stelle e strisce potrebbe essere sotto pressione.
Dollaro Usa: cosa aspettarsi nei prossimi mesi
In genere, gli esperti di mercato non sono molto ottimisti sull'andamento del dollaro Usa nel prossimo futuro. Secondo Francesco Pesole, strategist dei tassi di ING, "la relazione tra i tassi a breve termine e il dollaro si è allentata negli ultimi due mesi, ma la tendenza ribassista del mercato verso il biglietto verde significa che un accomodamento monetario potrebbe rivelarsi il catalizzatore per una nuova costruzione di posizioni corte".
A giudizio di Jeff Blazek, co-CIO delle strategie multi-asset di Neuberger Berman, "gli investitori statunitensi potrebbero prendere in considerazione l'aggiunta di azioni e obbligazioni europee e giapponesi con una copertura inferiore o nulla, anche se ciò significherebbe rinunciare a parte del reddito derivante dai differenziali dei tassi d'interesse". In tale contesto, "c'è il potenziale per un altro indebolimento del 3%-5% del dollaro rispetto all'euro e allo yen quest'anno", ha aggiunto.
Secondo il parere degli analisti di BofA, "i segnali di premi di rischio sul dollaro persistono, probabilmente riflettendo certe preoccupazioni per il futuro". Se la recente tregua con la Cina ha contribuito ad alleviare alcuni dei venti contrari ciclici per il dollaro, BofA rimane ribassista.
"Le prospettive di crescita degli Stati Uniti - a lungo un pilastro della forza del dollaro - continueranno a farsi sentire e la preferenza percepita dell’amministrazione per un dollaro più debole non dovrebbe essere sottovalutata". Alla luce di tutto questo, gli analisti ritengono che il dollaro sia sopravvalutato del 22% e per l'anno vedono un ulteriore ribasso del 2%-3% rispetto al minimo del 21 aprile 2025.