Nella settimana lasciata alle spalle il sentiment degli operatori è stato influenzato dai timori sul maxi-debito degli Stati Uniti, sotto i riflettori dopo il taglio del rating da parte di Moody’s, e dall’approvazione del tanto discusso “Big Beautiful Bill”, il provvedimento destinato a ridefinire profondamente l’assetto della spesa pubblica americana.
Quella prudenza che era rimasta sottotraccia anche nelle ultime settimane di rialzi è tornata a fare capolino, spingendo i rendimenti dei Treasury a 20 e 30 anni sopra la soglia del 5%. E con la Federal Reserve che non sembrerebbe intenzionata ad intervenire (il FedWatch Tool del CME stima tassi stabili nel meeting di metà giugno con una probabilità del 95%), potremmo avere un problema.
Il rischio è che il famoso “crowding out” (l’effetto spiazzamento, quando l’aumento del debito pubblico porta a una riduzione della spesa privata) si faccia vivo, togliendo linfa agli altri asset e limitando la crescita economica. Se a questo aggiungiamo che la questione-dazi non è stata risolta ma solo messa in pausa (e le autorità europee non sembrerebbero troppo in vena di regali), per l’amministrazione Trump sembrerebbero essere in arrivo settimane particolarmente intense.
Inflazione: ora si fa sul serio
Nella settimana che inizia oggi i dati più importanti arriveranno venerdì, quando sono in calendario sia gli aggiornamenti sull’inflazione di Italia e Germania che l’indice PCE a stelle e strisce. Nel caso dei due Paesi europei, l’aggiornamento preliminare relativo al mese di maggio potrebbe riflettere il calo dei prezzi dell’energia, un euro più forte e una decelerazione dei prezzi dei servizi. Indicazioni ribassiste arrivano anche dall’indice delle retribuzioni: secondo le ultime indicazioni arrivate dalla BCE, nel primo trimestre la crescita si è attestata al 2,4%, contro il +4,1% degli ultimi tre mesi del 2024 ed il +5,4% dell’intero 2024.
Stimata in riduzione anche l’inflazione a stelle strisce misurata dal Personal Consumption Expenditures, l’indice preferito dalla Federal Reserve perché in grado di monitorare l’andamento dei prezzi dei prodotti realmente acquistati dai consumatori (e non di un paniere, come accade con il Consumer Price Index).
Nel caso in cui gli indici dei prezzi dovessero evidenziare una nuova contrazione, le conseguenze per le due aree economiche potrebbero però essere differenti. Anche alla luce dei segnali “dovish” arrivati dalle minute dell’ultima riunione, per Eurolandia si aprirebbero le porte per una nuova riduzione dei tassi nel meeting in agenda il prossimo 5 giugno. Discorso differente va fatto per gli Stati Uniti, dove la forza dell’economia e l’incertezza su quelle che saranno le ripercussioni della guerra commerciale probabilmente continueranno a favorire la conferma dello status quo.
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