In una settimana che ha visto le Banche centrali grandi protagoniste, con la BCE che ha confermato il costo del denaro, la BoE che lo ha abbassato e la BoJ che viceversa ha alzato i tassi di interesse, grande clamore hanno destato i dati sull’inflazione USA.
La lettura del CPI di novembre ha sorpreso positivamente gli operatori. Attestatasi al 2,7%, è risultata molto sotto le attese del 3,1% e altresì in corposo calo dal 3% di ottobre. Il mercato non ha perso l’occasione per fare un immediato ripricing delle probabilità che la Fed tagli ulteriormente i tassi di interesse nei mesi a venire.
Una reazione che ha visto un nuovo slancio dei listini americani, con i titoli tech in prima fila. Più di una banca d’affari ha tuttavia invitato alla cautela. Il dato di novembre, infatti, rischia di essere una fotografia poco veritiera dell’attuale contesto. Molte aziende non hanno risposto alle richieste U.S. Bureau of Labor Statistics, l’avvio delle rilevazioni solo dal 14 novembre a causa dello Shutdown USA ha fatto perdere le rilevazioni di inizio mese e gli sconti del Black Friday sono stati sovrappesati.
Senza contare il buco nei dati sugli affitti di ottobre che potrà creare distorsioni fino alla revisione della primavera 2026. La reazione euforica al dato dell’inflazione è dunque lecita, tuttavia nel medio termine potrebbe essere poco veritiera.
Come sta l’economia USA?
Si annuncia una settimana all’insegna di un clima semifestivo per i mercati finanziari internazionali, con le Borse europee a regime solo quest’oggi e domani. Scambi aperti invece a Wall Street, dove NYSE e Nasdaq terranno aperte le contrattazioni tanto il 24 che il 26 dicembre. In questo contesto saranno ancora una volta i dati macroeconomici a guidare l’umore degli operatori.
Le indicazioni arrivate dal CPI statunitense hanno evidenziato un calo che non deve lasciare tranquilli gli operatori poiché il Bureau of Labor Statistics si è trovato a dover stimare o “congelare” molte voci di prezzo. Non a caso, gli economisti parlano di “bias al ribasso” destinato in parte a invertirsi quando la raccolta dei dati tornerà a regime.
Reduce da un taglio dei tassi che ha riportato il costo del denaro ai minimi triennali, la Fed resta però prigioniera di un doppio vincolo: inflazione ancora instabile e un mercato del lavoro che mostra i primi segni di affaticamento, con la disoccupazione ai massimi da quattro anni.
In occasione della seduta di martedì si riuscirà a fare il punto sullo stato di salute del mercato immobiliare statunitense, inevitabilmente sensibile al ciclo congiunturale e a quello monetario. E proprio per capire la traiettoria della politica monetaria, interessanti saranno le letture preliminari del PIL americano. Un rallentamento di questa voce rafforzerebbe uno scenario di ulteriore taglio del costo del denaro. Un dato particolarmente consistente rischierebbe di mettere nell’angolo i banchieri centrali USA e con esso l’intero mercato azionario a stelle e strisce.
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