La settimana della Fed è finalmente giunta. Mercoledì sera Jerome Powell comunicherà al mercato la decisione del FOMC sul fronte dei tassi di interesse. Per gli operatori quasi una non notizia: con oltre l’87% di probabilità, il mercato si aspetta un taglio di 25 punti base che dovrebbe portare il costo del denaro nell’intervallo 3,5%-3,75%.
Soluzioni diverse da questa, come potrebbero essere un taglio estremo di 50 pb o il mantenimento del costo del denaro al livello attuale, scompaginerebbero l’umore costruttivo del mercato. Un ruolo cruciale sarà tuttavia ricoperto da quanto Powell dirà nel corso della conferenza. Se per molti il vero market mover per il 2026 sarà rappresentato dalla nomina del suo successore e dall’indipendenza che potrà garantire alla Fed, nell’immediato gli operatori sono pronti a prezzare le previsioni di tagli nel nuovo anno.
Un atteggiamento conservativo non verrebbe premiato, uno più accomodante sì. Il mercato insomma vuole un Powell mani di forbice piuttosto che un Jerome più concentrato sul rischio di stabilità dei prezzi. Uno scenario che favorisca gli ingenti investimenti dei colossi dell’AI e con esso la crescita del giro d’affari e degli utili.
Powell taglia, ma frena
La riunione del FOMC di questa settimana si preannuncia come una delle più delicate degli ultimi mesi. Con sul tavolo solo i dati di settembre su occupazione e inflazione, il Comitato dovrà bilanciare prudenza analitica e sensibilità verso mercati ormai convinti di un nuovo taglio dei tassi entro fine anno.
Le probabilità incorporate nei prezzi superano il 90%, un livello che il presidente Powell difficilmente vorrà sfidare in chiusura di mandato: meglio evitare scossoni che potrebbero risultare più costosi di un taglio “hawkish”. La Fed potrebbe usare la riunione per segnalare una pausa prolungata nel 2026. Un messaggio che, se confermato, frenerà le aspettative del mercato, oggi decisamente troppo generose nella previsione di ulteriori ribassi nella prima metà del prossimo anno.
Il vero nodo, infatti, è il 2026. Le attese degli investitori incorporano una traiettoria “dovish” dei tassi, ma questa visione potrebbe scontrarsi con la realtà macroeconomica. Se l’inflazione dovesse tornare ad accelerare dal quarto trimestre 2025 - scenario tutt’altro che remoto - e la crescita rimanesse robusta, la Fed non avrebbe margine per continuare a tagliare. Sul medesimo orizzonte pesa anche l’incognita politica: la nomina del nuovo presidente della Fed. Tra i nomi più accreditati spicca quello di Kevin Hassett, attuale direttore del NEC, considerato vicino a un approccio più accomodante. Il suo arrivo potrebbe inaugurare, nella seconda metà del 2026, una fase più morbida nella gestione dei tassi. Ma fino ad allora la Banca centrale potrebbe muoversi con cautela.
A questo link è possibile leggere tutta la Weekly Note di Vontobel