Il recupero intrapreso dai minimi successivi all’attacco di Israele all’Iran si è affievolito la scorsa settimana, con i mercati attenti da un lato a capire le prossime mosse delle Banche centrali e dall’altro a decifrare i risultati trimestrali.
L’euforia iniziata a fine ottobre 2023 per l’avvio nel 2024 di una politica monetaria accomodante da parte di FED e BCE sembra svanita, con gli investitori che oggi come allora sono ritornati a guardare con insistenza il mercato obbligazionario, specie sul fronte americano. La soglia chiave è rappresentata dal 5% di rendimento del T-Note a 10 anni, livello che se superato farebbe scattare un allarme per il mondo azionario, in primis quello tecnologico.
La scorsa settimana si è chiusa con rendimenti prossimi al 4,65%, livello che non si vedeva da inizio novembre 2023. Il movimento è dettato anche dalla crescita delle probabilità che la FED possa addirittura alzare il costo del denaro entro fine 2024. Il mercato prezza questo scenario al 30%, ossia lo stesso dell’ottobre 2023. Diverso ovviamente il discorso per la BCE, con una divergenza di gestione della curva dei tassi ormai assodata. Sul fronte valutario, mentre la BoJ ha confermato i tassi lo Yen ha proseguito la sua perdita di valore nei confronti del dollaro USA, scivolando così ai minimi dal 1990.
Fed, Payrolls e inflazione UE
Lato statunitense, la settimana che inizia oggi sarà caratterizzata da due importanti appuntamenti: i dati relativi all’andamento del mercato del lavoro che, come di consueto, saranno diffusi il primo venerdì del mese, ed il responso della due giorni di riunioni della Federal Reserve.
Il saldo delle non-farm payrolls, che nel mese di marzo si è riportato sopra quota 300 mila unità, è stimato di poco sopra le 200 mila unità, il tasso di disoccupazione è visto stabile al 3,8% mentre l’indice delle retribuzioni è atteso in aumento mensile dello 0,3%. Quest’ultima metrica, e le sue ripercussioni sull’andamento dei prezzi al consumo, ci porta al secondo evento targato USA: il meeting della Fed.
Scontata la conferma del costo del denaro, la riunione sarà utile per capire le future mosse dell’istituto con sede a Washington. Al momento il mercato stima tassi fermi anche a giugno (88,4% di probabilità di una conferma del 5,25-5,5% attuale) ed a luglio (70,1%) e solo dal meeting di settembre un taglio di 25 punti base registra un leggero vantaggio sull’ipotesi di una nuova conferma (44,4% vs 42,1%).
Giugno, e qui ci spostiamo in Europa, dovrebbe invece essere il mese in cui la Banca Centrale Europea finirà per rompere gli indugi annunciando la prima riduzione del costo del denaro di Eurolandia: in quest’ottica gli operatori martedì terranno il fiato sospeso in attesa dei dati preliminari sull’inflazione nel mese di aprile (l’indice “headline” è visto stabile al 2,4%, il dato “core” dovrebbe segnare una riduzione dal 2,9 al 2,8%).
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