Dazi, tassi e guerra. Da quando Donald Trump è tornato alla Casa Bianca il Mondo sembra immerso in una vera e propria partita a scacchi. Nell’ultima ottava si è sistemata la questione delle tariffe tra Stati Uniti ed Unione Europea: a settimane di distanza dal vertice tra il Presidente americano e Ursula von der Leyen, i due blocchi hanno finalmente emesso un comunicato congiunto in cui sono state fornite indicazioni ufficiali sugli accordi.
In ottica europea ad uscire vincitori sono stati soprattutto i settori delle auto, dei chip ed il comparto farmaceutico. La partita a scacchi su vini e liquori è invece ancora aperta. Per quanto riguarda i tassi di interesse, crescono le possibilità che già a settembre la Federal Reserve sforbici il costo del denaro.
L’amministrazione Trump vorrebbe delle mosse incisive, meno il Governatore Powell. Ma questa è una partita a scacchi molto lunga. Al momento, almeno nelle intenzioni di Trump, appare invece più vicino un tavolo di pace tra Ucraina e Russia. Tra ricostruzione post guerra e ripartenza dei rapporti commerciali tra i diversi blocchi, un accordo potrebbe contribuire allo scacco matto all’orso da qui a fine anno.
L’ultimo ostacolo è il PCE
L’appuntamento di venerdì prossimo con l’indice PCE è di quelli da segnare in rosso sul calendario. Il Personal Consumption Expenditures è il dato preferito dalla Federal Reserve, il cui board si riunisce il 17 settembre, perché in grado di cogliere le variazioni dei prezzi dei prodotti realmente acquistati dai consumatori (e non di un paniere, come nel caso dell’indice “tradizionale”).
Dopo l’intervento di Jerome Powell nel corso del simposio di Jackson Hole, le probabilità che l’istituto riduca il costo del denaro sono tornate in quota 90 per cento. Nel corso del suo discorso, il chairman della Fed ha aperto alla possibilità di un taglio dei tassi d’interesse nel prossimo incontro di politica monetaria della Banca centrale.
Nonostante questo, a prevalere è sempre la prudenza, figlia anche della volontà dell’attuale governatore di proteggere l’indipendenza dell’istituto con sede a Washington. Non si tratta di un mero tecnicismo per addetti ai lavori, l’indipendenza della Fed rappresenta un pilastro fondamentale su cui poggia la stabilità e la credibilità dell’intera economia americana. Minare questa indipendenza significherebbe compromettere le fondamenta stesse della stabilità economica e della prosperità degli Stati Uniti.
Se da un lato Trump scommette sul fatto che dopo un periodo di iniziale e comprensibile smarrimento alla fine gli operatori finiscono per abituarsi a tutto (finora sui dazi ha avuto ragione), dall’altro c’è un Powell che vuole essere ricordato come l’ultimo governatore indipendente. Probabilmente hanno entrambi ragione.
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