Il teatro globale della politica commerciale sembra aver trovato il suo protagonista indiscusso: gli Stati Uniti. In un momento in cui l’economia mondiale cercava stabilità, Washington ha riscritto le regole del gioco, utilizzando i dazi come leva fiscale e strumento di diplomazia economica. Il recente accordo con il Giappone – dazi fissati al 15%, evitando un temuto balzello al 25% – suona più come una vittoria americana che un compromesso bilaterale.
La strategia americana si sta rivelando sorprendentemente efficace. Altri Paesi, come l’UE, hanno seguito lo stesso sentiero. A ben vedere, gli Stati Uniti hanno trasformato una politica aggressiva in una nuova forma di imposizione fiscale, che grava sul consumo estero e protegge la produzione interna.
Nel breve termine, gli effetti non saranno indolori: l’inflazione è destinata a salire e la crescita a rallentare. Ma in un’epoca di debito pubblico dilagante, il gettito in arrivo dai dazi e la crescita dei prezzi al consumo rappresentano due elementi in grado di portare sollievo alle casse governative. Per ora, Trump si gode l’applauso. Ma quando il sipario calerà, il conto della nuova normalità commerciale potrebbe rivelarsi ben più salato del previsto.
È la settimana della Fed
Giovedì scorso abbiamo assistito ad una scena tanto rara quanto surreale: Donald Trump ha visitato la sede della Federal Reserve. Indossando un casco da cantiere accanto al governatore Jerome Powell, Trump ha estratto un foglio e denunciato un aumento dei costi di ristrutturazione dell’edificio da 2,5 a 3,1 miliardi di dollari: “avete aggiunto un edificio che è stato ristrutturato cinque anni fa, non è parte del progetto attuale”, ha chiosato il chairman.
Ovviamente Trump non è interessato all’andamento dei lavori, la prima visita di un presidente USA alla sede della Banca centrale in quasi 20 anni è parte di una più ampia offensiva dell’amministrazione contro la Fed, accusata di immobilismo sui tassi. Tramite un’inchiesta sull’utilizzo dei fondi pubblici, l’inquilino della Casa Bianca ha rimarcato che potrebbe spodestare il governatore se non sposerà la linea dell’esecutivo.
In qualsiasi caso la prima economia si appresta a perdere credibilità: sia se Powell non farà quello che dice Trump, visto che sarà sostituito con un governatore compiacente, sia nel caso in cui ridurrà il costo del denaro. Il timing degli attacchi è particolarmente felice visto che mercoledì è in agenda il meeting della Fed.
Con una probabilità del 97,4%, gli operatori stimano tassi stabili mentre, stando sempre al FedWatch Tool, a settembre la probabilità di un taglio si attesta al 60%. Dazi permettendo, prima della fine dell’anno dovremmo assistere ad una nuova sforbiciata. Ed a questo punto Trump dovrà trovarsi un nuovo capro espiatorio.
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