Le prime settimane del 2025 hanno confermato la centralità di Wall Street nell’indirizzare il sentiment dei mercati. La scorsa settimana abbiamo vissuto un’ottava a due velocità: una prima parte caratterizzata da nervosismo e vendite legate alle prospettive della politica monetaria statunitense e una seconda, dal pomeriggio di mercoledì dopo la pubblicazione dei dati dell’inflazione americana, contraddistinta da un bel recupero del mondo azionario e da una discesa dei rendimenti dei titoli di Stato USA.
Un movimento accompagnato anche da un parziale recupero delle quotazioni dell’euro contro il dollaro americano, scivolato a inizio ottava sui minimi da inizio novembre 2022. L’ottimo avvio della stagione delle trimestrali, con le banche statunitensi che a suon di record operativi hanno visto le loro stelle brillare, ha contribuito a sostenere la ripresa delle quotazioni di Wall Street.
E il traino dei mercati USA si è ovviamente ripercosso anche in Europa, con il DAX a nuovi massimi storici e il FTSE Mib ai top dal febbraio 2008. Per il momento il mercato sembra ignorare i rischi di una BCE meno espansiva qualora la debolezza dell’euro dovesse continuare a marciare insieme alla salita dei prezzi energetici, con inevitabili rischi di nuove risalite dell’inflazione. Ma per ora i fari sono tutti rivolti a Wall Street.
BoJ e PMI sotto i riflettori
L’appuntamento con la Bank of Japan (BoJ) di venerdì 24 gennaio è di quelli da segnare in rosso sul calendario. Al termine della due giorni di riunioni, l’istituto guidato da Kazuo Ueda, che a marzo 2024 ha aumentato i tassi di interesse per la prima volta dal 2007 e che a luglio ha messo a segno un nuovo incremento, potrebbe alzare nuovamente il costo del denaro.
“Se economia e prezzi si muoveranno secondo le nostre previsioni, continueremo ad aumentare i tassi di interesse”, aveva dichiarato il governatore al termine del meeting di dicembre. L’ultimo intervento della BoJ ha innescato forti movimenti sui mercati poiché ha spinto numerosi operatori a liquidare le operazioni di “carry trade” (quelle che puntano a sfruttare il differenziale di tassi tra due aree economiche) e questa volta, complici anche la valutazioni elevate sui listini statunitensi, potremmo assistere ad una reazione simile.
Sempre venerdì, grande volatilità potrebbe arrivare dalla pubblicazione dei dati sul sentiment dei direttori degli acquisti, i famigerati indici PMI (Purchasing Managers’ Index). In agenda troviamo gli aggiornamenti relativi l’andamento del manifatturiero e del settore servizi di Zona Euro, Regno Unito e Stati Uniti. Nel caso di Eurolandia, il dato relativo al secondario è destinato a confermarsi sotto quota 50 punti, quella che separa espansione e recessione dell’attività economica (è dal luglio 2022 che si trova sotto questo livello) mentre in quello del terziario l’indice è stimato in territorio espansivo. Anche i PMI di Regno Unito e Stati Uniti dovrebbero registrare un andamento a due velocità.
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