Nell’ultima settimana di giugno, i mercati finanziari globali hanno mandato segnali contrastanti. Dietro il calo dei rendimenti dei Treasury americani e il rientro dei prezzi del petrolio ai livelli precedenti alla “guerra dei 12 giorni” tra Israele e Iran, si cela un intreccio di dinamiche fiscali, politiche e commerciali che potrebbero compromettere la fragile serenità estiva degli investitori.
La combinazione di deficit crescenti, il “Big Beautiful Bill” è ormai in dirittura d’arrivo, ingerenze sempre più pesanti nella politica monetaria, Trump starebbe pensando di affiancare a Powell un governatore “ombra”, e di diverse questioni aperte in tema di dazi, la scadenza del 9 luglio per i dazi reciproci potrebbe essere prorogata, non dovrebbe lasciare tranquilli gli investitori.
Finora, si è preferito guardare al bicchiere mezzo pieno, permettendo agli indici azionari di aggiornare i massimi storici, ma è difficile che questo stato di cose possa proseguire ancora per molto tempo. Sul mercato valutario il dollaro continua a indebolirsi, spinto dalle attese di tagli della Fed e dai deflussi di capitali. Non si vedono ancora vendite significative di asset americani, ma il movimento è iniziato.
Sintra: focus sulle Banche centrali
Dal 30 giugno al 2 luglio 2025, Sintra torna ad essere il crocevia della finanza globale: il Forum annuale organizzato dalla BCE riunisce governatori delle principali Banche centrali, economisti e leader di mercato. L’appuntamento cade in un momento di forti divergenze tra le strategie di BCE, Bank of England, Bank of Japan e Fed.
Partendo dall’istituto guidato da Christine Lagarde, il recente taglio dei tassi, che ha portato il saggio sui depositi al 2%, è stato dettato da un’inflazione che, per il momento, sembrerebbe sotto controllo. Alla luce di un approccio “data-dependent”, ed in attesa di maggiore chiarezza sui dazi, è probabile che nel meeting del 24 luglio il costo del denaro sarà confermato sui livelli attuali.
La BoE si trova stretta tra prezzi al consumo che viaggiano ancora sopra la soglia del 3% ed un mercato del lavoro che inizia a segnalare un rallentamento mentre nel caso della BoJ il processo di normalizzazione procede a rilento anche a causa dell’incertezza legata ai dazi.
Il compito più difficile è quello in capo a Jerome Powell. Non solo gli Stati Uniti rappresentano il Paese che più di ogni altro finirà per pagare il conto dei dazi, sia in termini di minore crescita economica che di incremento dei prezzi, ma la Banca centrale paga pegno anche alle frequentissime e sempre più aggressive ingerenze di Trump. È probabile che l’ultima parte del mandato di Powell sia caratterizzata da una progressiva delegittimazione sia in arrivo dall’esterno che dalla stessa Banca centrale, visto che già ora diversi membri sembrerebbero intenzionati a sposare le idee del tycoon.
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