Siamo in una fase di mercato estremamente delicata. Mentre i listini azionari continuano a flirtare con i massimi e l'attenzione mediatica è catalizzata dalle "Magnifiche 7" e dalla corsa dell'Intelligenza Artificiale, sotto il cofano dell'economia reale americana si stanno accendendo diverse spie di avvertimento.
In attesa della riunione della Fed del 10 dicembre e dei dati ufficiali sulle buste paga (NFP), abbiamo analizzato i report più recenti (ISM, ADP, Housing e liquidità bancaria). Il quadro che ne emerge non è di un crollo imminente, ma di uno stallo preoccupante che potrebbe preludere a un cambio di paradigma nel primo trimestre del nuovo anno.
Di seguito vedremo i 4 aspetti macroeconomici che stanno mostrando segni di cedimento.
1. La grande divergenza: servizi vs manifattura
Uno dei temi più caldi è la netta separazione tra l'economia dei servizi (ancora a galla) e quella produttiva (in contrazione tecnica).
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ISM Services: il settore terziario rimane in espansione (attualmente a 52,6), trainato da consumi che faticano a morire. Tuttavia, il dato cruciale è il calo dei prezzi pagati (-4,6%). Se da un lato questo fa sperare in una disinflazione per il consumatore finale, dall'altro una discesa così rapida dei prezzi è spesso sintomo di una domanda che si sta raffreddando.
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ISM Manufacturing: Il settore produttivo è in contrazione costante (attestandosi a 48.2). Il dato più allarmante riguarda i Backlog Orders (ordini arretrati) in netto calo. Solitamente il settore manifatturiero anticipa sempre quello dei servizi. Se le fabbriche ricevono meno ordini oggi, tra 3-6 mesi ci saranno meno merci da trasportare, meno viaggi d'affari e meno indotto per i servizi. La "contrazione produttiva" è un leading indicator che non va ignorato.
2. Il mercato del lavoro segnala contrazione
I dati ADP (Automatic Data Processing) di novembre hanno lanciato un segnale gelido: -32.000 buste paga. Ma è scavando nei dettagli che si scopre la vera natura del problema.
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Le PMI soffrono: la totalità della perdita di posti di lavoro si concentra nelle piccole imprese (1-49 dipendenti). Le grandi corporation hanno liquidità per resistere, ma il tessuto connettivo dell'America (il piccolo business) sta licenziando.
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Fine del "Job Hopping": fino al 2022, cambiare lavoro garantiva aumenti salariali del 15-16%. Oggi, quel premio è crollato al 6,3%, quasi allineato con l'aumento di chi resta nella stessa azienda. Ciò significa che le aziende non stanno più "rubando" talenti ai competitor pagandoli a peso d'oro. Questo implica che il mercato del lavoro si è saturato e il potere contrattuale è tornato nelle mani dei datori di lavoro, non dei dipendenti.
3. Immobiliare: le "promesse" non mantenute
Un dato spesso trascurato ma fondamentale per capire la salute del consumatore è il tasso di cancellazione dei contratti immobiliari.
A ottobre, circa 53.000 accordi di acquisto sono saltati, pari a circa il 15-16% del totale (con picchi del 21% in aree come San Antonio). Perché questo accade?
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L'acquirente stipula un compromesso mesi prima;
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Al momento della chiusura, la situazione finanziaria dell'acquirente è peggiorata (perdita lavoro, debiti su carte di credito, tassi troppo alti);
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Il risultato è che si preferisce perdere la caparra piuttosto che imbarcarsi in un mutuo insostenibile. È un segnale inequivocabile di stress finanziario delle famiglie.
4. Il problema nascosto: la liquidità interbancaria
Forse il punto più tecnico ma più critico toccato nella videoanalisi di oggi riguarda la Standing Repo Facility (SRF).
Negli ultimi anni, sono state le banche a parcheggiare enorme liquidità presso la Fed (Reverse Repo) per ottenere un rendimento sicuro. Ultimamente, stiamo assistendo all'inverso: le banche commerciali chiedono liquidità alla Fed.
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Perché è grave? Nel sistema bancario se una banca chiede soldi alla Banca Centrale, significa che il mercato interbancario privato (le altre banche) non si fida a prestarle denaro oppure chiede tassi troppo alti (sopra il tasso Fed);
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Il segnale: l'aumento dell'uso della SRF (con picchi di decine di miliardi in pochi giorni) indica che c'è una scarsità di liquidità nel sistema. Come nel 2008 o durante la crisi delle banche regionali del 2023, i problemi di liquidità tendono a rimanere nascosti finché qualcosa non si rompe all'improvviso.
È davvero così grave?
Nonostante i 4 punti appena citati, non siamo di fronte a un'apocalisse immediata. L'Italia, per esempio, mostra dati incoraggianti con uno spread ai minimi dal 2009 e una disoccupazione in calo al 6%, dimostrando una resilienza inaspettata. Così come il resto d'Europa resta resiliente dal punto di vista dell'occupazione e dei prezzi, ormai in contenimento. Tuttavia, il motore globale, ossia gli Stati Uniti, sta perdendo colpi.
Siamo in una fase di stallo. I dati di dicembre sono "sporcati" dalle festività e dal Black Friday. La vera prova del nove arriverà con i dati macroeconomici più chiari di febbraio e marzo 2025. Fino ad allora, la parola d'ordine è prudenza.
Gli asset finanziari, da Bitcoin (il vero vincitore del triennio con circa il +400%) all'azionario, potrebbero continuare a muoversi su logiche di momentum e di sentiment positivo degli operatori, ma i fondamentali macroeconomici suggeriscono che la corda si sta tendendo.
Il consiglio è quello di monitorare la liquidità e non dare per scontato che il "Soft Landing" (atterraggio morbido) sia ormai cosa fatta. Le opportunità ci sono (come dimostra la storia recente), ma richiedono ora una selezione molto più attenta rispetto al recente passato.