Nel corso della stagione delle trimestrali statunitensi, gli investitori non guardano solo ai numeri. Le parole contano. E se c’è un termine che torna con forza nel lessico aziendale è “recessione”. Secondo un recente studio firmato da John Butters, Vice President di FactSet, ben 121 società dell’S&P 500 hanno citato la parola “recession” durante le conference call dedicate ai risultati del primo trimestre 2025. Un dato che, da solo, descrive il clima d’incertezza che si respira a Wall Street.
Si tratta di un livello eccezionalmente elevato: è il numero più alto dalla fine del 2022 e rappresenta un balzo di oltre nove volte rispetto al trimestre precedente, quando appena 13 società avevano menzionato la recessione.
"Questo dato – scrive Butters – è ben superiore alla media quinquennale di 79 e alla media decennale di 59". In percentuale, circa il 27% delle aziende che hanno tenuto conference call fra il 15 marzo e il 15 maggio ha evocato il rischio recessione.
I settori più esposti: finanziari e industriali in prima linea
A guidare questo ritorno della retorica recessiva sono soprattutto tre settori: Finanziario, Industriale e Immobiliare. Nel dettaglio, 28 società finanziarie e 27 industriali hanno utilizzato il termine durante i confronti con gli analisti. Ma se si guarda alla percentuale sul totale delle aziende che compongono ciascun settore, il quadro appare ancora più significativo.
Nel Real Estate, il 40% delle società ha fatto riferimento alla recessione, mentre i Finanziari seguono con il 39%, davanti agli Industriali al 36%. Si tratta di comparti tipicamente sensibili al ciclo economico: il fatto che siano proprio loro a mostrare il maggior livello di allerta non è casuale. Come nota Butters, "la frequenza con cui viene usato il termine ‘recession’ riflette le preoccupazioni specifiche di ciascun settore sull’andamento futuro dell’economia".
Le cause dell’inquietudine: dazi e rallentamento globale
Ma cosa c’è dietro questo aumento esponenziale delle citazioni? Le motivazioni sono diverse, ma si intrecciano in un quadro di crescente instabilità. I nuovi dazi commerciali, annunciati o ipotizzati in un clima di tensioni geopolitiche in ascesa, rappresentano una delle cause principali. A questi si sommano segnali di raffreddamento dell’economia globale, confermati da vari indicatori macroeconomici, e i timori legati alla politica monetaria statunitense, ancora caratterizzata da alti tassi d’interesse in risposta all’inflazione.
Il fatto che le società comincino a tematizzare la recessione pubblicamente durante le call, rivolgendosi agli analisti e agli investitori, è un campanello d’allarme. Non si tratta solo di retorica o precauzione linguistica, ma di una vera e propria dichiarazione d’intenti: le aziende stanno preparandosi ad affrontare scenari meno favorevoli, modulando investimenti, tagliando costi o rivedendo le strategie di crescita.
Il confronto storico: 2022 come spartiacque
L’ultimo precedente paragonabile è il quarto trimestre del 2022, quando furono 147 le aziende dell’S&P 500 a parlare apertamente di recessione. In quel periodo, l’economia americana affrontava gli effetti più acuti del ciclo rialzista della Federal Reserve, un contesto inflazionistico più marcato e le incertezze derivanti dalla guerra in Ucraina. Il fatto che oggi il numero si avvicini a quei livelli – pur in un contesto economico formalmente più stabile – suggerisce una percezione crescente di vulnerabilità da parte del mondo corporate.
Per gli investitori, questo studio offre una chiave di lettura preziosa. Le parole pronunciate durante le conference call sono spesso più rivelatrici dei bilanci stessi. Quando una quantità significativa di aziende comincia a parlare di recessione, significa che le aspettative stanno cambiando. I manager aziendali, pur con l’inevitabile cautela comunicativa, non possono ignorare i segnali che ricevono dai loro mercati di riferimento.
In questo senso, le conference call diventano un termometro del sentiment economico, forse più efficace dei tradizionali indici di fiducia. Quando 1 azienda su 4 dell’S&P 500 sceglie di menzionare il rischio recessione, non si può archiviare il tutto come un’iperbole retorica. È un messaggio da cogliere.