Un settore dopo l'altro ha visto l'attività interrompersi quasi completamente a marzo, con lo scoppio della pandemia di coronavirus negli Stati Uniti. I commercianti lottavano affinchè i negozi rimanessero aperti mentre gli acquirenti troppo scossi limitavano le spese. Le società energetiche hanno dovuto affrontare forti cali della domanda e di conseguenza dei prezzi. Le aziende sanitarie si sono focalizzate maggiormente alla lotta del Covid-19, allontanandosi da un’assistenza più standard e l’elenco potrebbe continuare.
Fallimenti: peggior anno dal 2012
Il risultato? Secondo l’S&P Global Market Intelligence sono 610 i fallimenti a metà dicembre e potrebbero aggiungersene altri nei prossimi mesi dipendentemente da quelli che saranno gli sviluppi in merito al diffondersi della nuova variante di coronavirus scoperta di recente nel Regno Unito. Secondo l’agenzia di rating questa statistica è la più alta dal 2012 e si confronta con i 552 fallimenti registrati nello stesso periodo del 2019.
Pochi settori sono stati risparmiati dalla recessione alimentata dalla pandemia. Un settore che di sicuro ne ha beneficiato è quello dei business online, basta osservare l’andamento dei titoli tech della Silicon Valley che hanno trainato l’indice tecnologico Nasdaq e aumentato il patrimonio degli uomini più ricchi del pianeta. D’altro canto la quasi totalità degli altri settori ha subito perdite più o meno ingenti e in alcuni casi fatali.
Default: i settori a maggior rischio
L'ondata di fallimenti è stata particolarmente brutale per i grandi magazzini: le aziende di abbigliamento e altri rivenditori che vendevano beni non essenziali, ma soprattutto offline. I consumatori hanno passato la maggior parte del tempo su e-commerce online, si pensi ad Amazon ad esempio, un marketplace dove si possono trovare articoli di qualsiasi genere comodamente da casa. Secondo S&P, circa il 20% delle dichiarazioni di fallimento provengono da rivenditori di beni non essenziali e fisici, molto più di qualsiasi altra categoria. Anche se c’è una rinnovata positività in scia alle news positive riguardo il vaccino e la sua efficacia, il 2021 sarà ancora difficile per la maggior parte delle aziende globali.
La vendita al dettaglio, in particolare, rischia di soffrire ulteriormente. Come mostrano i dati sulla spesa dei consumatori di novembre, i cittadini statunitensi limitano le loro spese per far fronte ad eventuali nuove restrizioni o spese inaspettate, perché la verità è che mancano ancora diversi mesi alle vaccinazioni di massa, unico fattore che potrebbe realmente ripristinare un po’ di serenità.
I 10 più grandi default del 2020
Le aziende che stavano lottando prima della pandemia e in qualche modo hanno potuto continuare il loro business per tutto il 2020 sono ben lontane dall'essere fuori dai guai. Le agenzie di rating stanno tenendo d'occhio le imprese che considerano in difficoltà per vedere come se la caveranno nel 2021. Detto ciò, alcune realtà oggi si trovano già sul lastrico e sono pronte a dichiarare fallimento con la nota procedura prevista dal capitolo 11 del Bankruptcy Code statunitense, l’equivalente della legge fallimentare italiana. Ecco alcune delle più importanti dichiarazioni di fallimento del 2020 in diversi settori, con l'entità delle passività.
1. Frontier Communications ($ 17,1 miliardi): il fornitore di servizi di telefonia e Internet è stato soffocato da un enorme carico di debito, dovuto anche a significativi investimenti in infrastrutture in fibra che sono stati effettuati forse troppo tardi.
2. Neiman Marcus ($ 5,3 miliardi): il debole bilancio del grande magazzino di lusso si è rivelato insostenibile in un momento di calo delle vendite nei negozi fisici. I suoi creditori hanno preso il controllo dell'azienda. Neiman Marcus conta adesso i fondi PIMCO, Davidson Kempner Capital Management e Sixth Street come nuovi proprietari. Geoffroy van Raemdonck rimane l'Amministratore delegato dell'azienda.
3. Diamond Offshore Drilling ($ 6,3 miliardi): un calo record dei prezzi del petrolio greggio dovuto al pressochè totale fermo di ogni attività al mondo ha distrutto la domanda di esplorazione petrolifera in mare.
4. Tailored Brands ($ 1,5 miliardi): con milioni di persone bloccate tra le proprie mure di casa durante la pandemia, la società madre del fornitore di abiti Men's Wearhouse, che stava ancora lottando per digerire l'acquisizione di Jos. A. Bank del 2014, ha registrato un calo delle vendite insostenibile.
5. The McClatchy Co. ($ 1,5 miliardi): la società editoriale ha lottato per anni con il calo degli abbonamenti alla stampa, che ha portato alla sua dichiarazione di fallimento a febbraio .
6. Proprietà CBL & Associates (oltre $ 1 miliardo): le proprietà di secondo livello dell'operatore del centro commerciale sono alle prese con il calo delle visite degli acquirenti da qualche tempo e la pandemia di coronavirus non ha fatto altro che aggravare la situazione a livelli non più sostenibili.
7. 24 Hour Fitness Worldwide (oltre $ 1 miliardo): le palestre sono state tra le prime attività chiuse durante i blocchi e le ultime a cui è stata consentita la riapertura, portando a enormi tensioni sui bilanci di questo tipo di business.
8. Hertz (oltre $ 1 miliardo): la totale interruzione degli spostamenti è stata decisamente troppo per un'azienda che lottava per affrontare le minacce al proprio modello di business, costringendola a ristrutturare il proprio debito.
9. Quorum Health (oltre $ 1 miliardo): l'operatore di 24 ospedali ha lottato con un pesante carico di debito reso più difficile da sopportare poiché la pandemia Covid-19 ha ridotto la sua capacità di eseguire procedure più redditizie per gli ospedali.
10. JC Penney, J.Crew, Ascena Retail (Ann Taylor), Stage Stores e Stein Mart: questi rivenditori erano già in difficoltà molto prima dell'arrivo della pandemia e le vendite in calo nel comparto dell’abbigliamento hanno esposto le loro debolezze.