Wall Street dovrà prestare attenzione all'inflazione statunitense. A dirlo sono gli strategist di Bank of America. Un sondaggio condotto dalla banca statunitense ha rilevato come l'accelerazione delle pressioni sui prezzi globali sia il principale rischio per le azioni americane, con il 32% degli interpellati che ha scelto questa opzione, mentre il 21% ritiene che sia la geopolitica la più grande fonte di rischio.
BofA ha affermato che la lotta all'inflazione sia stata in gran parte vinta, ma tensioni sui prezzi potrebbero
indebolire la fiducia che i tassi di interesse saranno tagliati in maniera decisa dalla
Federal Reserve. Gli ultimi dati sull'indice dei prezzi al consumo del mese di novembre pubblicati ieri non hanno destato grandi preoccupazioni, per la verità. Il carovita è aumentato dal 2,6% al 2,7% su base annua e si è confermato allo 0,3% su base mensile. Questa lettura era perfettamente in linea con le aspettative degli analisti.
Azioni Wall Street: nel 2025 pesa la minaccia dazi
A rendere fosco il quadro generale potrebbero però essere i dazi della nuova amministrazione che prenderà ufficialmente servizio alla Casa Bianca a partire dal 20 gennaio 2025. Il neo presidente eletto Donald Trump ha già annunciato tariffe del 25% su tutti i beni importati dal Messico e dal Canada, nonché un'ulteriore stretta del 10% sulle merci provenienti dalla Cina.
Ciò farebbe crescere i costi di input per le aziende americane, che a loro volta sarebbero trasferiti ai consumatori finali rimettendo in moto l'inflazione e costringendo la Fed a tenere alti i tassi di interesse. Di conseguenza, le azioni a Wall Street rischierebbero di essere sotto pressione.
Trump ha definito i dazi "la parola più bella del mondo", in quanto aiuteranno a ricostruire la base manifatturiera degli Stati Uniti, ad aumentare i posti di lavoro e i redditi, nonché a ingrossare le casse federali. Gli analisti però non sono del tutto convinti e mostrano alcuni dati che smentiscono il credo del leader repubblicano.
Ad esempio, secondo quanto riportato da RBC Capital Markets, nel corso della prima amministrazione Trump, l'applicazione dei dazi nel 2018 alla Cina ha reso i settori dei materiali e dell'industria americana i peggior performer del mercato. Nel contempo, i titoli difensivi si sono segnalati per aver registrato le performance migliori.
Un'analisi di Citigroup invece rileva che in quel periodo il settore tecnologico ha sottoperformato in particolare nel comparto dell'hardware e dei semiconduttori. Tuttavia, la banca USA precisa che dal momento che le aziende tech sono "in prima linea sull'intelligenza artificiale e potrebbero beneficiare di un caricamento anticipato degli ordini se vengono annunciate le tariffe, ci sono meno preoccupazioni per il rischio immediato".
Ad ogni modo, in genere gli esperti non sono molto entusiasti all'idea di nuovi dazi. Per David Kelly, Chief global strategist di JP Morgan Asset Management, "sono fondamentalmente negativi per l'economia. Si può effettivamente avere un effetto stagflazionistico, ovvero aumento delle pressioni inflazionistiche e riduzione della crescita economica allo stesso tempo".
Dazi Trump: quali ricadute sugli utili della Corporate America?
BofA Global Research prevede che a Wall Street gli utili delle società appartenenti all'indice S&P 500 scenderanno dell'1% se le tariffe sulla Cina aumenteranno al 40% e quelle sul resto del mondo - esclusi Messico e Canada - saliranno a circa l'8%. Il colpo agli utili sarebbe fino al 5%, però, con le rappresaglie dei Paesi colpiti, hanno scritto gli strategist della banca.
Anche i colleghi di Barclays vedono delle ricadute agli utili dell'S&P 500 fino al 2,8% con i dazi su Messico, Canada e Cina e le eventuali azioni di ritorsione. In particolare, i settori dei materiali e dei beni di consumo potrebbero subire un crollo dei guadagni a due cifre, a causa della "significativa presenza di offerta e produzione in Messico e Canada", hanno affermato gli esperti della banca londinese.