Disastro di Fukushima: il giorno in cui l'inferno arrivò in Borsa | Investire.biz

Disastro di Fukushima: il giorno in cui l'inferno arrivò in Borsa

11 mar 2021 - 07:15

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Il terremoto di Fukushima dell'11 marzo 2011 sarà ricordato a lungo dalla popolazione nipponica. La Borsa di Tokyo perse in una sola seduta il 17,5%. Ecco come è andata

Era l'11 marzo del 2011 quando il Giappone venne investito da un violento terremoto a Fukushima che destabilizzò un'intera Nazione. A farne le spese furono i reattori della centrale nucleare che smisero di funzionare liberando materiale radioattivo e mettendo a rischio la popolazione. Qualcuno paragonò quel disastro a quello di Chernobyl del 1986. Vediamo come è andata e gli effetti sui mercati finanziari.

 

11 marzo 2011: come in Giappone si scatenò l'inferno

Alle ore 14:46 di quel giorno nel Giappone settentrionale un sisma di magnitudo 9, con epicentro in mare e successivo tsunami, travolse la costa della Regione di Tohoku. Gli effetti furono devastanti: nell'immediato i reattori attivi della centrale nucleare di Fukushima saltarono e i generatori di emergenza, che avrebbero dovuto favorire il raffreddamento, vennero completamente distrutti. Tutto questo generò un'esplosione d'aria e idrogeno, con la conseguente fuga di materiale radioattivo.

Con il passare delle ore la situazione apparve sempre più grave e l'allora Primo Ministro Naoto Kan chiese ai cittadini di non uscire di casa per evitare di essere contaminati. Nei giorni successivi poi ci fu l'evacuazione della zona e si contarono 1.600 morti durante le operazioni di fuga, soprattutto tra anziani affetti da patologie.

 

Disastro di Fukushima: il terremoto si trasferì in Borsa

Alla notizia la Borsa di Tokyo fu abbattuta letteralmente dalle vendite arrivando a perdere fino al 17,5%. A mano a mano che arrivarono ufficialità di peggioramento della situazione riguardante i reattori nucleari, gli investitori liquidavano a mani basse le loro posizioni. A fine giornata il Nikkei 225 segnò un -10,55% e il Topix un -9,47%. Per entrambi gli indici quello fu il terzo peggiore ribasso della storia della Borsa del Giappone.

Ad essere maggiormente bersaglio degli operatori furono tutti i titoli dell'energia e dell'industria. Le azioni di Tokio Electric Power Co., gestore della centrale di Fukushima, vennero sospese dalle contrattazioni dopo una perdita di oltre 20 punti percentuali. Una pioggia di short sommerse anche Takaoka Electric Manifacturing che a fine seduta lasciò il 21,05%, JVC Kenwood che crollò del 16,33% e Fujitsu che perse il 9,32%.

I titoli più esposti alle vendite degli investitori furono quelli legati all'industria nucleare, ossia Nippon Steel (-10,9%), JFE Holdings (-13,7%) e Kobe Steel (-12,1%). Non andarono meglio i titoli finanziari con Aozora Bank precipitato del 10,9% dopo un minimo di giornata del -23%, Sumitomo Mitsui Financial Group affondato del 7% dopo essere andato sotto del 16% e con Mitsubishi UFJ in calo del 9%, dopo che a metà seduta era crollato del 18%. Una vera carneficina, insomma.

A provare a mettere una pezza attenuando il tracollo delle banche ci fu l'intervento della Bank of Japan, che iniettò denaro liquido per oltre 20 mila miliardi di yen, pari a 280 miliardi di dollari. Tuttavia alla fine anche la Banca centrale nipponica fu incapace di arrestare l'impatto travolgente dello tsunami. In due giorni la Borsa di Tokyo bruciò 287 miliardi di dollari, in pratica quanto immesso nel mercato da parte dell'istituto centrale allora guidato da Masaaki Shirakawa.

L'Autorità che regolamenta i mercati, ossia la Tokyo Stock Exchange, decise di interrompere le negoziazioni sui futures nel Topix e successivamente bloccò le operazioni di arbitraggio. Lo Yen subì un calo imponente soprattutto nei confronti del Dollaro statunitense, mentre gli altri mercati borsistici aprirono le contrattazioni con perdite oltre i due punti percentuali.

 

Disastro di Fukushima: effetti successivi

La tragedia di Fukushima nei mesi successivi fece piombare il Giappone in recessione. I dati relativi ai primi 3 mesi del 2011 riportarono un pesantissimo -3,7% del PIL su base annua del Sol Levante. L'aspetto più grave però fu una zavorra da 300 miliardi di dollari che pesava soprattutto nei confronti della società che gestiva la centrale atomica, Tepco, chiamata al risarcimento danni.

Per questa ragione il Governo elaborò un piano da 60 miliardi di dollari per andare in soccorso dell'azienda evitandone il default. Nonostante il Primo Ministro Naoto Kan si affrettò a precisare che non si trattasse di bail out per il salvataggio dalla bancarotta, il messaggio non fu colto dal mercato che massacrò il titolo della società giapponese nelle contrattazioni borsistiche.

In seguito i piani di espansione monetaria confezionati dal premier Shinzo Abe e del Governatore della BoJ Haruhiko Kuroda, che andarono sotto il nome di Abenomics, permisero al Paese di uscire via via da una crisi economica e finanziaria in cui si era imbattuto.

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