Negli ultimi giorni in molti ci siamo posti una domanda piuttosto diretta: "Ma Trump è pazzo?" Le recenti mosse del presidente americano, e soprattutto le ripercussioni sui mercati finanziari, sembrano alimentare questo dubbio. L’indice S&P 500 ha registrato un crollo superiore al 20% rispetto ai massimi storici, un evento che non si vedeva dal 2022, e così anche tutte le altre Borse, facendo temere il peggio agli investitori di tutto il mondo.
Dietro questa apparente follia invece, c'è una strategia ben precisa. La vera domanda, infatti, è: "Trump sta davvero agendo in solitaria, oppure è guidato da una regia dietro le quinte? Chi lo consiglia in questa politica economica particolarmente aggressiva, soprattutto sul fronte dei dazi?".
I consiglieri chiave di Trump: Scott Bessent e Stephen Miran
La risposta è chiara: Trump è circondato da consiglieri economici di peso, e il più influente tra questi è senza dubbio Scott Bessent, attuale Segretario del Tesoro. Bessent è una figura di altissimo profilo nel mondo della finanza globale: è stato il fondatore del fondo speculativo Key Square Group, in cui perfino George Soros, uno degli investitori più noti della storia, ha investito ben 2 miliardi di dollari.
Laureato a Yale nel 1984, Bessent ha lavorato a stretto contatto con Soros, arrivando a guidare la sede londinese del suo fondo. Proprio durante la sua direzione, il gruppo ha guadagnato oltre un miliardo di dollari dalla speculazione sulla sterlina britannica nel 1992, durante la celebre "crisi del Mercoledì Nero". In altre parole, Bessent è tutto fuorché uno sprovveduto.
Al fianco di Bessent c'è anche Stephen Miran, economista di primo piano, ora a capo del Consiglio dei Consulenti Economici di Trump. Miran, laureato all'Università di Boston e con un dottorato in Economia ad Harvard, ha recentemente pubblicato uno studio strategico che svela molte delle linee guida che Trump sembra seguire fedelmente.
Il manifesto economico: i tre pilastri della strategia Trump
Questo studio, vero e proprio manifesto economico della nuova amministrazione, si può riassumere in tre punti fondamentali:
- Rilanciare la manifattura americana. L’obiettivo primario è riportare la produzione industriale negli Stati Uniti. Per troppo tempo, gran parte della manifattura americana è stata delocalizzata verso Paesi con manodopera a basso costo, come Cina, Bangladesh e Vietnam. L’esempio più eclatante è quello dell’industria navale: durante la Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti costruivano tre navi ogni due giorni, mentre oggi producono appena cinque navi commerciali all’anno. Nel frattempo, la Cina è diventata leader mondiale, costruendo più imbarcazioni di tutti gli altri Paesi messi insieme. Trump vuole invertire questa tendenza, tornando a far crescere l’industria nazionale.
- Affrontare il problema del dollaro forte e dello squilibrio commerciale. Negli ultimi decenni, il dollaro è stato la valuta rifugio globale, mantenendo un valore elevato che ha reso le esportazioni americane meno competitive. Questo ha contribuito al cronico deficit commerciale degli Stati Uniti, che importano molto più di quanto esportino. Un discorso che abbiamo già approfondito (I dazi di Trump: mossa vincente o errore fatale per l'economia USA?) La politica di Trump punta a riequilibrare questa situazione, sostenendo che la dipendenza da produzioni estere sia una delle cause principali della perdita di competitività dell’economia americana.
- Usare i dazi come arma negoziale. Una delle strategie più discusse è quella dei dazi doganali. Trump li utilizza non solo per proteggere le industrie americane, ma soprattutto come leva di negoziazione con gli altri Paesi. Si parla di una vera e propria tattica del "tariff chaos": creare caos con i dazi per costringere le altre nazioni a sedersi al tavolo delle trattative. È una strategia aggressiva, ma efficace, considerando che il mercato americano resta troppo importante perché i partner commerciali possano permettersi di ignorarlo o rispondere con ritorsioni simmetriche.
Naturalmente, questo approccio ha un prezzo. Lo studio di Miran sottolinea che tali politiche devono essere implementate con attenzione e gradualità, per minimizzare gli effetti collaterali sull’economia globale e interna.
"Esiste un percorso attraverso il quale l'amministrazione Trump può riconfigurare i sistemi finanziari e commerciali globali a vantaggio dell'America, ma è stretto e richiederà un'attenta pianificazione, un'esecuzione precisa e attenzione ai passaggi per minimizzare le conseguenze negative." Si legge in un paper pubblicato dallo stesso Miran (A User’s Guide to Restructuring the Global Trading System).
Eppure, sembra che Trump abbia trascurato questa raccomandazione: sta applicando la strategia in modo brutale e accelerato, seminando panico tra gli investitori e sulle Borse internazionali. Per saperne di più, sul Forecaster trovate l'andamento delle Borse di tutto il mondo e le notizie più importanti che vengono analizzate dall'AI Agent al fine di scovare quali aziende e azioni ne possono essere influenzate maggiormente e come.
Va anche detto che questa linea dura non nasce dal nulla. Già nelle amministrazioni precedenti, da Obama a Biden, erano stati introdotti dazi verso la Cina e altre misure protezionistiche, seppur in modo più prudente. Trump, invece, ha scelto di alzare i toni e velocizzare le mosse, puntando a una revisione immediata e radicale delle relazioni commerciali internazionali.
Fonte: Forecaster.biz/ai-agent
Il riarmo globale e le ombre di un conflitto mondiale
Un altro aspetto che potrebbe aver influenzato le politiche di Trump è la crescente tensione internazionale, che ha spinto molti Paesi a rafforzare le proprie capacità militari. Gli Stati Uniti, insieme a diverse potenze globali, sembrano avvertire il rischio di un conflitto futuro, forse proprio a causa delle sfide economiche e geopolitiche legate alla Cina. Le preoccupazioni per un possibile riarmo e per l’instabilità globale non sono mai state così forti, alimentando il timore che la situazione possa sfociare in un conflitto di dimensioni mondiali.
È difficile prevedere se questa paura si concretizzerà, ma le mosse economiche aggressive di Trump e il fatto che stia cercando di rafforzare la propria industria pesante e manifatturiera potrebbero essere un segnale di volersi far trovare pronti a un eventuale conflitto. E le risposte internazionali come il riarmo dell'UE sembrano riflettere questa crescente incertezza. Speriamo, ovviamente, che questa minaccia rimanga solo un’ombra, e non si trasformi mai in realtà.
Conclusioni: strategia calcolata o rischio eccessivo?
Alla luce di tutto questo, possiamo dire con sicurezza che no, Trump non è impazzito. Sta semplicemente seguendo, tranne che riguardo a modi e tempi, le indicazioni dei suoi consiglieri economici. Solo che, a differenza dei suoi predecessori, ha deciso di farlo con un approccio molto più rapido e rumoroso, che ha inevitabilmente scosso i mercati globali.
Quello che ci aspetta adesso è una fase di aggiustamento: la Casa Bianca dovrà negoziare caso per caso con i partner commerciali per cercare nuovi equilibri. L'obiettivo finale è chiaro: far tornare l’America a essere una potenza manifatturiera, meno dipendente dalle importazioni e capace di riconquistare un ruolo di primo piano nella produzione globale.
Sarà una sfida lunga e complessa, e solo il tempo dirà se questa strategia audace si rivelerà vincente o se pagherà il prezzo di un azzardo troppo rischioso.
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