La decisione della Reserve Bank of New Zealand di tagliare il tasso ufficiale di 25 punti base, portandolo al 2,25%, conferma che l’economia neozelandese sta attraversando una fase di transizione; infatti, dalle pressioni inflazionistiche elevate degli anni post-pandemici si sta dirigendo verso un contesto di crescita debole, ma in lento miglioramento, con un’inflazione che appare sempre più destinata a convergere all’obiettivo del 2%.
La mossa era ampiamente prevista dai mercati, ma ha segnato comunque un momento importante, dato che il tasso è ora al punto più basso dalla metà del 2022, segnalando che la fase restrittiva della politica monetaria può considerarsi superata.
Economia Nuova Zelanda: fattori temporanei dietro la crescita dell'inflazione
Circa il quadro macroeconomico neozelandese, l’inflazione annua è tornata a salire sopra la fascia target 1-3%, ma questo è avvenuto per fattori temporanei (energia, importazioni). L’inflazione core, più rilevante per la Banca centrale, è stabile o in leggero declino e le previsioni della stessa RBNZ indicano un ritorno al 2% entro metà 2026, segnale che la fase acuta è rientrata.
La stabilità dell’inflazione core è l’elemento che ha dato ai vertici monetari lo spazio per tagliare i tassi, senza temere un riaccendersi delle pressioni sui prezzi.
Ma la crescita economica debole rappresenta la vera preoccupazione, con il PIL che si è contratto nel secondo trimestre, confermando che l’economia ha attraversato una mini-recessione tecnica. Fino alla metà del 2025, l’attività è rimasta fiacca caratterizzata da consumi e investimenti sottotono ed export in calo nella prima parte dell’anno.
Alcuni indicatori a breve termine come il PMI, la domanda interna, la fiducia delle imprese mostrano ora un lento miglioramento, ma partendo da livelli bassi. La Banca Centrale riconosce questa debolezza e vede rischi bilanciati in quanto la fiducia di famiglie e imprese rimane fragile, con possibili frenate della ripresa. Per contro esiste molta capacità produttiva inutilizzata, come bassa pressione salariale, imprese con margini produttivi inutilizzati e domanda ancora inferiore al potenziale.
Questo è un altro elemento che ha reso possibile il taglio dei tassi; infatti, la crescita può essere incentivata senza rischio immediato di surriscaldamento. Circa i rischi di rialzo dell’inflazione, la Banca Centrale monitora il possibile rimbalzo della domanda immobiliare, settore sempre molto sensibile ai tassi in Nuova Zelanda e il possibile rafforzamento delle esportazioni (es. latte, carne, materie prime).
Questi fattori potrebbero rendere l’inflazione più persistente del previsto e influenzare il ritmo dei futuri tagli.
Dollaro Neozelandese in rafforzamento
Il taglio del tasso al 2,25% ha avuto immediate ripercussioni sul dollaro neozelandese (NZD) e l’effetto dipende soprattutto dal confronto con la posizione della Federal Reserve. Dopo la notizia c’è stata un rafforzamento nei confronti del dollaro e dai minimi di 0,56 adesso siamo in zona 0,57.
Per il futuro se la Fed dovesse mantenere toni prudenti si andrebbe a restringere il differenziale di rendimento con gli Stati Uniti, con la possibilità che il dollaro neozelandese risulti meno attraente e con flussi di capitale che potrebbero spostarsi verso il dollaro americano creando una pressione ribassista.
Ma bisogna considerare che la Nuova Zelanda è uno dei Paesi che ha iniziato prima la stretta monetaria e ora è tra i primi a invertire il ciclo. Questo può favorire un ritorno dei flussi quando sarà chiaro che la crescita sarà stabilizzata e la valuta potrebbe beneficiare della percezione di “economia ripulita” dopo la fase restrittiva.
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