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Francia e Olanda si uniscono per imporre regole più severe alle Big Tech;
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Nel mirino Facebook, Apple, Amazon e Google per l'esercizio di posizione dominante;
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L'UE e la Commissione Europea stabiliranno norme stringenti entro la fine dell'anno
Tira una brutta aria per le Big Tech di Wall Street. Non proprio per una questione di performance visto che le azioni in Borsa stanno macinando record su record, ma perché le Autorità di Regolamentazione da tempo immemore stanno conducendo una battaglia contro lo strapotere delle grandi aziende tecnologiche americane.
Gli ultimi che si sono uniti al plotone di esecuzione sono due Ministri europei: Cèdric O, Segretario di Stato francese per la transizione digitale e le comunicazioni elettroniche, e Mona Keijzer, Segretario di Stato olandese per gli affari economici e la politica climatica.
I due hanno firmato oggi un documento congiunto con il quale vengono sollecitate le Autorità Regolamentari di Bruxelles a intervenire in tempi rapidi contro i colossi della tecnologia per separare strutturalmente le loro piattaforme. In questa maniera verrebbe ridotta la loro posizione dominante, favorendo la concorrenza e dando la possibilità alle piccole aziende di prosperare.
Guerra alle Big Tech USA: ecco le motivazioni
Nel mirino in particolare ci sono Facebook, Apple, Amazon e Google. Le prime due dovrebbero essere sorvegliate a vista o addirittura disciplinate attraverso delle misure che consentano ai loro utenti di spostare i propri dati su piattaforme di altre aziende.
Google dovrebbe essere frenata nel dirottare l'utenza verso il proprio sito quando promuove i suoi servizi rispetto a quelli dei concorrenti. L'e-commerce guidato da Jeff Bezos sarebbe accusato di esercizio di una posizione talmente dominante da fungere da gatekeeper per altre piattaforme.
Insomma c'è materiale a sufficienza per l'ennesima campagna contro lo status troneggiante dei giganti del Web. In particolar modo, la Ministra olandese ha stigmatizzato la deriva autoritaria da parte dei grandi della tecnologia. A tal proposito l'UE, a suo avviso, dovrebbe intervenire per impedire che diventino ancora più grandi a scapito del mercato.
UE: la guerra alle Big Tech USA unisce Francia e Olanda
Francia e Paesi Bassi sono stati sempre in disaccordo circa la regolamentazione dell'industria tecnologica. Parigi ha costantemente spinto verso norme austere sia riguardo la protezione dei dati che in merito ai contenuti delle piattaforme. L'Aia invece ha solitamente mostrato un atteggiamento più liberale.
Adesso invece i due Paesi si sono uniti in una campagna che implica un giro di vite per le Big Tech molto penalizzante. Cedric O ha posto proprio l'accento sull'obiettivo comune, nonostante i due Paesi abbiano culture e tradizioni diverse. Questo è un punto d'incontro importante perché consacra un disgelo tra le due Nazioni, che c'è stato grazie all'accordo sugli standard ambientali e dopo gli scontri accesi sul Recovey Fund.
Di certo Bruxelles non rimane a guardare. In questo momento sta preparando un piano di regolamentazione che stabilisce nuove regole più severe per 20 aziende americane, tra cui Facebook e Google. Tale piano servirà anche a rendere più snella la procedura contro le pratiche anticoncorrenziali, evitando in questo modo le lungaggini burocratiche dell'Antitrust.
Anche il commissario europeo francese Thierry Breton ha messo in rilievo come l'UE potrebbe arrivare addirittura a costringere le grandi aziende tecnologiche a cedere delle unità in caso di esercizio eccessivo del potere. Inoltre la Commissione Europea presterà molta attenzione alla pubblicità politica, al riguardo entro la fine del 2020 sono attese normative più stringenti.
La guerra tra l'Europa e le Big Tech non si limita alle pratiche monopolistiche, ma si estende a temi che riguardano il pagamento delle tasse. Alcuni Paesi come Gran Bretagna, Austria e Turchia si sono fatti promotori quest'anno di iniziative per imporre imposte digitali. Mentre solo tre mesi fa Facebook è arrivato a un concordato con il Fisco francese per risolvere una controversia fiscale risalente al 2012, accettando di pagare 125 milioni di dollari.