La fusione tra Nippon Steel e U.S. Steel non si farà. Il presidente degli Stati Uniti
Joe Biden ha deciso di dare un ultimo colpo di coda nella sua presenza alla Casa Bianca
bloccando ufficialmente l'affare da 14,9 miliardi di dollari, secondo quanto riferito da persone che hanno familiarità con la questione. Quindi mette la parola fine a una decisione rimasta in sospeso dopo che il Comitato per gli investimenti esteri negli Stati Uniti (CFIUS) aveva rinviato tutto a prima del 20 gennaio, quando Biden lascerà l'incarico.
Quest'ultimo ha resistito alle pressioni di alcuni consiglieri che avevano espresso preoccupazioni sul fatto che lo stop all'accordo avrebbe deteriorato i buoni rapporti tra USA e Giappone. Le fonti informate sulla vicenda non sono andate nel dettaglio in merito ai motivi che hanno indotto Biden a rifiutare la combinazione, ma hanno riferito di implicazioni politiche al riguardo.
L'accordo mancato per Nippon Steel rappresenta un danno rilevante. Oltre al fatto che il colosso giapponese dell'acciaio dovrà pagare una penale di 565 milioni di dollari a U.S. Steel, sarà destinato a ripensare alla sua strategia di crescita focalizzata all'estero. Infatti, la compagnia puntava a una crescita produttiva globale, passando da 65 a 85 milioni di tonnellate di acciaio prodotte all'anno. Una cifra non distante dai 100 milioni di tonnellate come obiettivo di lungo termine.
Nippon Steel - U.S. Steel: quali implicazioni politiche?
Il deal Nippon Steel - U.S. Steel è nato comunque con mille difficoltà. Il potente sindacato dei lavoratori United Steelworkers si è opposto fermamente temendo per i posti di lavoro, mentre la politica è insorta immaginando una perdita di nazionalità nella gestione.
Su quest'ultimo punto, Biden è stato molto chiaro sin da subito: la proprietà e la gestione devono essere mantenute negli Stati Uniti. Del resto, ha solo anticipato quello che farebbe il neo presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il quale senza mezzi termini ha promesso di impedire la fusione.
A nulla sono valse le rassicurazioni delle due società coinvolte. In particolare, Nippon si è offerta di spostare la sua sede negli Stati Uniti a Pittsburgh, in Pennsylvania, dove ha la sede U.S. Steel. Non solo. Ha anche promesso di rispettare tutti gli accordi in vigore che l'azienda americana ha con il sindacato, di inserire cittadini americani nel consiglio di amministrazione e di dare al governo degli Stati Uniti il potere di veto su eventuali tagli alla capacità produttiva di U.S. Steel.
Questi sforzi però sono risultati insufficienti e Nippon Steel pensa di ricorrere in tribunale alla decisione di Biden di bloccare tutto. Tuttavia, secondo alcuni, fare una causa sarebbe una sfida molto faticosa. "A chi stai facendo causa? A CFIUS? Al presidente? Al governo in generale? Penso che sarebbe quasi impossibile", ha affermato Nick Wall, partner M&A di Allen & Overy.
Ora però bisognerà fare i conti con le implicazioni che a livello geopolitico può avere la cosa. Il Giappone è un alleato chiave degli Stati Uniti in un'area dove la Cina esercita la sua egemonia e la Corea del Nord rappresenta una costante minaccia militare. Tra l'altro, Tokyo è il più grande investitore del debito americano.
Altri effetti potrebbero manifestarsi sotto il profilo degli investitori internazionali. A giudizio di Alistair Ramsey, vicepresidente della ricerca sull'acciaio presso la società di consulenza Rystad Energy, essi potrebbero essere dissuasi dal fare offerte per aziende statunitensi politicamente sensibili e molto sindacalizzate.
"Le grandi offerte sono un'idea rischiosa a meno di 12 mesi dalle elezioni presidenziali, ma i grandi produttori di acciaio con forni tradizionali in funzione, come Nippon Steel, vedono gli Stati Uniti come un luogo eccellente per produrre acciaio a lungo termine, nonostante la depressione del mercato. Altre regioni mature, come l'Unione Europea o il Regno Unito, potrebbero voler cercare di costruire una reputazione simile per ispirare questi investimenti in futuro", ha aggiunto.