Il tema della tassazione sulle transazioni finanziarie è tornato prepotentemente alla ribalta negli ultimi tempi. Gli Stati hanno realizzato che bisogna attingere a risorse, che non siano esclusivamente rappresentate dal denaro a pioggia stampato dalle Banche centrali, per finanziare i piani anti pandemici in corso.
Negli Stati Uniti alcuni esponenti dei Democratici di sinistra stanno facendo pressione su Joe Biden per proporre una tassa che colpisca le negoziazioni a Wall Street. E, sebbene questo non rientri nel programma di Governo della nuova Amministrazione, non è escluso che presto entri nell'agenda della Casa Bianca. Una mossa di questa portata potrebbe aprire la strada perché altri Paesi, Europa in testa, seguano lo stesso percorso.
Tassazione transazioni finanziarie: pro e contro
Naturalmente l'argomento è molto delicato e vi sarebbero valide ragioni a sostegno della tesi di chi vuol gravare la mano sui patrimoni dei più danarosi (ma sarà veramente così?) o di quella di chi considera questo un atto sbagliato.
Secondo le stime del Congressional Budget Office, un prelievo sulle transazioni degli strumenti finanziari porterebbe nelle casse statunitensi oltre 100 miliardi di dollari l'anno. E questo, a giudizio dei più accaniti sostenitori, servirebbe per dirottare il denaro raccolto nell'economia reale e aiutare le famiglie e le imprese. I più avversi al sistema finanziario asseriscono addirittura che un'imposizione fiscale contribuirebbe a frenare la speculazione, favorendo gli investimenti a medio-lungo termine e arginando sul nascere qualsiasi forma di crisi finanziaria.
Gli oppositori alla tassazione invece affermano che la redistribuzione della ricchezza andrebbe fatta in un altro modo, ad esempio tassando i ricchi sul reddito prodotto e non su operazioni che vengono fatte da tutti, anche dai comuni lavoratori. Inoltre tutto questo avrebbe come effetto solamente quello di ridurre la liquidità e di aumentare i costi per i market maker e i trader ad alta frequenza. A quel punto, come è accaduto in Svezia ad esempio, molti operatori semplicemente sposterebbero la propria operatività in altre Piazza finanziarie.
TTF: la situazione nel Mondo
Attualmente nel Mondo sono una quarantina i Paesi che applicano qualche forma di imposizione sugli scambi in Borsa. Tra di essi possono essere ricordati: la Cina che applica una tassa dello 0,1% sulle vendite di azioni; la Francia che impone un dazio dello 0,3% sulla negoziazione di titoli azionari, nonché dello 0,01% su quelle ad alta frequenza; il Regno Unito che addebita lo 0,5% sulle transazioni azionarie, ma non sui CFD; la Finlandia, che è lo Stato più severo dal momento che applica un prelievo dell'1,6% su alcune tipologie di azioni e obbligazioni.
Alcuni Paesi si stanno muovendo in direzione opposta. Ad esempio la Corea del Sud prevede una riduzione dell'imposta sull'acquisto di azioni dallo 0,25% allo 0,15% entro il 2023, sebbene imporrà una tassa sulle plusvalenze agli investitori che avranno redditi da investimenti superiori a 17 mila dollari l'anno. Hong Kong invece, a partire da febbraio di quest'anno, ha aumentato l'imposta di bollo sulla compravendita azionaria, che passa dallo 0,1% allo 0,13%.
Per quel che riguarda invece l'Unione Europea, si era discusso in passato della possibilità di un ampio prelievo sulle transazioni finanziarie, ma la cosa ha trovato sempre l'energica opposizione da parte della Gran Bretagna. Ora con Brexit e quindi senza l'influenza di Londra, l'argomento potrebbe tornare ad essere affrontato in maniera più decisa.