Ferrari sembra immune alle minacce dei dazi statunitensi. La casa automobilistica italiana di lusso non ha accusato il contraccolpo in Borsa, a differenza dei competitor francesi e tedeschi. Questa settimana il neo presidente degli Stati Uniti
Donald Trump ha seminato il panico nei mercati europei, annunciando dalla sua piattaforma Truth Social che metterà tariffe del 25% su tutte le merci importate in territorio americano da Canada e Messico, nonché del 10% sui beni provenienti dalla Cina. Il tycoon ha aggiunto che ciò avverrà già dal primo giorno in cui salirà ufficialmente alla Casa Bianca, il 20 gennaio 2025.
In molti si sono chiesti perché non è stata menzionata l'Europa, ma la risposta più accreditata che si sono dati è che sarà solo una questione di tempo. Ad ogni modo, le case automobilistiche europee sono andate in ambascia, anche in considerazione del periodo difficile che stanno vivendo per effetto del rallentamento della domanda e della concorrenza cinese.
Quelle che hanno stabilimenti produttivi negli Stati Uniti temono che la produzione venga affossata, per via dell'aumento dei costi per l'acquisto di materiali e componenti dai Paesi tassati. Allo stesso modo, le aziende del Vecchio Continente che esportano in USA, potrebbero andare incontro a un crollo della domanda in caso di arrivo di una stangata da Trump anche all'Europa.
Ferrari: ecco perché si salva dai dazi di Trump
Ferrari non sembra preoccupata per quanto sta accadendo. Quantomeno non lo sono al momento gli investitori nelle azioni del Cavallino, le quali stanno sovraperformando rispetto ai rivali. Maranello è quindi una zona franca e le ragioni sono fondamentalmente due.
In primo luogo, l'azienda della famiglia Agnelli non produce negli Stati Uniti, ma lo fa esclusivamente in Italia. "Ferrari è protetta da ricadute, in quanto, qualunque sia la tariffa, non inizierà a produrre in America. Tutto accade a Maranello, in Italia", ha dichiarato Rella Suskin, analista azionario di Morningstar. Gli fa eco Anthony Dick, analista automobilistico di Oddo BHF. "Non ci aspettiamo che Ferrari avvii la produzione negli Stati Uniti", ha dichiarato.
La seconda motivazione sta nella grande capacità dell'azienda di determinazione dei prezzi, il che significa che i dazi non impatteranno più di tanto sulle vendite effettuate negli USA. Suskin sostiene che anche una tariffa del 10%, 20% o 30%, probabilmente Ferrari è in grado di trasferirla facilmente al consumatore, per via del target del cliente a cui si rivolge.
In altri termini, anche se Trump dovesse mettere sulle auto provenienti dall'Europa dazi fino al 30%, i clienti di Ferrari continuerebbero ad acquistare il veicolo. Questa visione è stata riprodotta da Tom Narayan, analista automobilistico globale di RBC Capital Markets, secondo cui Ferrari è in grado di trasferire qualsiasi aumento dei prezzi, il che la fa "meno sensibile alle tariffe rispetto alla maggior parte dei competitor".
Thomas Besson, responsabile della ricerca sul settore automobilistico di Kepler Cheuvreux, ritiene che l'eccellenza italiana sia "unica tra i suoi omologhi europei in questo senso".
Il paragone con Porsche
La specialità di Ferrari emerge se si fa il paragone con l'altra grande casa automobilistica di lusso europea: la tedesca Porsche. Quest'ultima, come Ferrari, non produce negli USA, ma ha molta più difficoltà a trasferire i maggiori costi ai consumatori, a parere degli analisti. Secondo Suskin, Porsche è in grado di trasferire ai clienti fino al 10% di eventuali dazi USA, ma non appena la quota si alza potrebbero sorgere i problemi.
L'alternativa, suggerisce l'esperto, è quella di appoggiarsi alla casa madre Volkswagen, che ha già stabilimenti negli Stati Uniti e della capacità inutilizzata. Tuttavia, occorrerebbe creare una linea di produzione specifica per Porsche e "ci sarebbero un bel po' di investimenti da fare", ha aggiunto.