Berkshire Hathaway e S&P 500: performance a confronto | Investire.biz

Berkshire Hathaway e S&P 500: performance a confronto

07 mar 2025 - 11:15

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Warren Buffett ha sempre affermato quanto sia difficile per un gestore di fondi fare meglio dell'S&P 500 nel lungo periodo. Ma la Berkshire Hathaway c'è riuscita?

Warren Buffett, il leggendario investitore che dal 1965 guida il conglomerato finanziario Berkshire Hathaway, ha sempre sostenuto che battere il mercato a Wall Street sia un'impresa estremamente difficile. Per tutta la sua lunga e gloriosa storia sui mercati azionari ha cercato di dare consigli saggi sia riferendosi agli investitori alle prime armi che a quelli più scafati. Ha fatto però anche una distinzione tra le persone che non hanno molto tempo e voglia di analizzare le aziende e di studiare a fondo alcuni meccanismi dei mercati e coloro che invece hanno tutta l'intenzione di immergersi in certe dinamiche.
 
Ai primi ha suggerito di investire nell'indice S&P 500 attraverso un fondo a basso costo che lo replica. Il benchmark include le 500 società più capitalizzate quotate alla Borsa di New York suddivise per 11 settori. Quindi comprende le aziende più forti in ogni ramo dell'economia americana. Puntare sull'S&P 500 equivale di fatto a scommettere sugli Stati Uniti, o meglio sulla sua crescita, sulla sua robustezza e sulla sua capacità nel tempo di essere la guida per tutto il mondo. A quel punto, non occorrono molti sforzi. Si compra l'indice e lo si tiene nel lungo periodo, ovvero per anni o decenni.
 
Storicamente l'S&P 500 ha un rendimento medio di quasi il 12% annuo, che cresce tenendo in considerazione i dividendi pagati dalle società che lo rappresentano. L'interesse composto fa incredibilmente lievitare il capitale in un orizzonte temporale lungo. Significa che il rendimento annuale percepito dall'investimento viene reinvestito insieme al capitale e sale progressivamente nel tempo. Il ritorno dal reinvestimento diventa davvero interessante dopo un certo numero di anni, quando il gruzzolo cresce. Un importo di 100 dollari investito al tasso del 12% diventa di quasi 3.000 dollari dopo 30 anni grazie all'interesse composto. Tutto questo senza considerare i dividendi, che vengono per giunta reinvestiti.
 
Quindi, l'unico vero sforzo che dovrebbe fare l'investitore è quello di non toccare il capitale e limitarsi a raccoglierne i frutti alla fine di un lungo percorso. Tra l'altro, l'operazione potrebbe rendere ancora di più se periodicamente si aggiungesse un importo più o meno fisso, seguendo una strategia denominata "dollar-cost averaging". Lo sforzo degli investitori di aspettare passivamente per anni lasciando lavorare il capitale è un esercizio tutt'altro che scontato. Questo perché gli esseri umani sono stati programmati per interagire con l'ambiente circostante.
 
Buffett però si rivolge anche agli investitori che vogliono essere attivi nei mercati finanziari. A quel punto l'unica strada è quella di individuare quelle aziende sottovalutate, ossia il cui valore di mercato è inferiore al valore intrinseco. Per determinare quest'ultimo, l'oracolo di Omaha segue una certa procedura che parte dall'owner earning, cioè il flusso di cassa (utile al netto delle imposte + ammortamenti + altre voci non monetarie) al netto del Capex.
 
 

Battere l'S&P 500? Mission impossible...

Dal pensiero di Buffett si evince un aspetto molto importante: investire sull'S&P 500 rende molto senza fare sforzi. Quindi perché imbattersi nell'impresa di voler fare meglio? Il re del value investing indica anche la strada per ottenere rendimenti superiori nel lungo periodo, ma ciò richiede una metodologia che ha nulla a che vedere con il trading forsennato seguito da molti operatori e propinato da altrettanti pseudo guru della finanza.
 
Nel 2006, Buffett lanciò una sfida: nessun gestore di fondi attivi in un orizzonte temporale di 10 anni riesce a battere il mercato. Uno dei motivi (ma non solo quello, ovviamente) sta negli alti costi di gestione che vanno a ridimensionare le performance del fondo. Nella scommessa, il guru mise in palio 1 milione di dollari. Per due anni non si fece vivo nessuno, ma poi un gestore di fondi dei fondi, tale Ted Seides, prese coraggio e accettò la sfida. Al suo hedge fund, denominato Protégé Partners, Buffett contrappose l'S&P 500 Index Fund Admiral Shares di Vanguard. Si trattava di un fondo indicizzato che presentava quattro caratteristiche:
  • replica fedele dell’indice S&P 500 (condizione tutt'altro che scontata, perché c’era una miriade di fondi congegnati così male da non riprodurre il benchmark come avrebbero dovuto);
  • niente commissioni di entrata e uscita dal fondo;
  • commissione di gestione molto bassa (cosa molto facile visto che si trattava di un fondo non a gestione attiva);
  • reinvestimento dei dividendi.
Come andò a finire? Per Buffett fu un trionfo. Nel 2018, ossia alla fine del periodo di 10 anni concordato, il fondo di Vanguard realizzò una performance del 125,9%, a fronte di un misero 36% degli hedge fund di Seides.
 
 

Berkshire Hathaway batte l'S&P 500

Da quando Buffett si appropriò nel 1965 della Berkshire Hathaway - che in origine era un'azienda tessile e poi si è trasformata in conglomerato finanziario - la società ha ottenuto sempre rendimenti eccezionali. I motivi sono diversi, ma non possono prescindere dallo straordinario fiuto per gli affari di quello che viene considerato il più grande investitore di tutti i tempi.
 
A ciò si aggiungono una visione di lungo periodo, la tendenza a non seguire quello che fanno le masse, l'analisi fondamentale che verte su aziende solide, ben gestite, con un vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza e non adeguatamente valutate dal mercato. Quindi, la Berkshire è riuscita nell'impresa di battere l'S&P 500? Nella seguente tabella sono riepilogate le performance a confronto, tenuto conto per l'indice americano anche dei dividendi. Ecco come è andata in 60 anni.
 
Anno
Berkshire Hathaway
S&P 500
     
1965
49,50%
10,00%
1966
-3,40%
-11,70%
1967
13,30%
30,90%
1968
77,80%
11%
1969
19,40%
-8,40%
1970
-4,60%
3,90%
1971
80,50%
14,60%
1972
8,10%
18,90%
1973
-2,50%
-14,80%
1974
-48,70%
-26,40%
1975
2,50%
37,20%
1976
129,30%
23,60%
1977
46,80%
-7,40%
1978
14,50%
6,40%
1979
102,50%
18,20%
1980
32,80%
32,30%
1981
31,80%
-5%
1982
38,40%
21,40%
1983
69%
22,40%
1984
-2,70%
6,10%
1985
93,70%
31,60%
1986
14,20%
18,60%
1987
4,60%
5,10%
1988
59,30%
16,60%
1989
84,60%
31,70%
1990
-23,10%
-3,10%
1991
35,60%
30,50%
1992
29,80%
7,60%
1993
38,90%
10,10%
1994
25%
1,30%
1995
57,40%
37,60%
1996
6,20%
23%
1997
34,90%
33,40%
1998
52,20%
28,60%
1999
-19,90%
21%
2000
26,60%
-9,10%
2001
6,50%
-11,90%
2002
-3,80%
-22,10%
2003
15,80%
28,70%
2004
4,30%
10,90%
2005
0,80%
4,90%
2006
24,10%
15,80%
2007
28,70%
5,50%
2008
-31,80%
-37%
2009
2,70%
26,50%
2010
21,40%
15,10%
2011
-4,70%
2,10%
2012
16,80%
16%
2013
32,70%
32,40%
2014
27%
13,70%
2015
-12,50%
1,40%
2016
23,40%
12%
2017
21,90%
21,80%
2018
2,80%
-4,40%
2019
11%
31,50%
2020
2,40%
18,40%
2021
29,60%
28,70%
2022
4%
-18,10%
2023
15,80%
26,30%
2024
25,50%
25%
     
Guadagno annuo composto
19,90%
10,40%
 
Come si può vedere, le performance di Berkshire sono state quasi il doppio di quelle dell'indice S&P 500.
 
 
 

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