La tassa sugli extraprofitti delle banche italiane prevista dal governo ha scatenato un fiume di polemiche nell'ambiente finanziario, tra gli opinionisti e anche a livello politico. Per la verità, sotto quest'ultimo profilo, le coalizioni in Parlamento sembra che abbiano trovato una convergenza maggiore rispetto a tanti altri provvedimenti. Forse perché una misura adottata da un governo di centro-destra verte su un tema molto sentito anche dall'altra sponda, dal momento che attua un attacco frontale nei confronti di un sistema, quello bancario, considerato spesso antagonista nelle lotte politiche della sinistra parlamentare.
Su altri versanti, molti hanno espresso disappunto su un disegno di legge che punisce le banche oltremodo, quando proprio gli istituti di credito fungono da collante tra l'attività produttiva e i risparmi dei consumatori. Alla fine, qualcuno ha avanzato il sospetto che gravare di una tassa inaspettata e onerosa gli istituti di credito finisce per penalizzare i risparmiatori, perché le banche riverseranno il maggior costo sostenuto sulle condizioni finanziarie applicate alla clientela.
A parte i discorsi teorici che possono essere avanzati, rimane per certo che il pregiudizio di
un'imposta del 40% sul margine netto di interesse peserà su molte banche. La reazione furiosa dei titoli finanziari alla
Borsa di Milano ad agosto, quando è stata pubblicata la prima versione della normativa, è lo specchio di quanto percepito dal mercato. Quanto è bastato perché il governo corresse subito ai ripari correggendo il tiro. Dapprima l'esecutivo ha alleggerito la base su cui verrà calcolata l'imposta, poi ha servito su un piatto d'argento una scappatoia per le banche attraverso la possibilità di
non pagare la tassa portando a riserva 2,5 volte l'importo che avrebbero dovuto sborsare.
Perché il Tesoro non incasserà la cifra sperata
Il Tesoro italiano non ha mai fornito una stima ufficiale dell'introito che deriverebbe dalla tassa sugli extraprofitti delle banche, sebbene inizialmente i principali esponenti del governo avessero dichiarato di aspettarsi un incasso per lo Stato fino a 3 miliardi di euro. Dopo le modifiche, la cifra sembra obiettivamente un miraggio, al che le stime degli opinionisti si sono abbassate a 2-2,5 miliardi di euro.
Ma siamo sicuri che l'Erario otterrà questa somma? Alcuni sollevano grossi dubbi in merito, se non altro perché la maggioranza delle banche non pagherebbero la tassa e rafforzerebbero le proprie riserve. In sostanza, potrebbero trovare molto più conveniente lasciare il denaro nelle proprie casse piuttosto che trasferirlo in quelle dello Stato.
Le riserve straordinarie che vengono alimentate da questo importo non possono essere utilizzate per distribuire dividendi, ma anche in questo caso le banche potrebbero aggirare l'ostacolo senza una legge che stabilisca una regolamentazione. Gli istituti di credito potrebbero aumentare il riacquisto delle azioni attingendo da queste riserve; in tal modo, aumenterebbero l'utile per azione (quindi i dividendi) distruggendo poi i titoli acquisiti con il buyback. In teoria sarebbero in grado di utilizzare per il riacquisto di azioni tutta la cifra che mettono a riserva non pagando la tassa, anche se poi troverebbero impedimenti da parte delle autorità di vigilanza.
Ecco cosa faranno le banche
Cosa faranno in definitiva le banche? Se il disegno di legge sarà approvato dal Parlamento, la tassa dovrebbe essere corrisposta a giugno del 2024 e fino ad allora le aziende di credito hanno parecchio tempo davanti per decidere il da farsi. Poco prima di quella data, i consigli di amministrazione si riuniranno e prenderanno una scelta, ma ad oggi molti indizi in un senso o nell'altro non ce ne sono.
Finora, gli analisti hanno previsto che
le grandi banche alla fine pagheranno la tassa, ma solo gli amministratori delegati di
MPS e
UniCredit hanno accennato a un parere nel merito. Il CEO della banca toscana Luigi Lovaglio ha affermato la scorsa settimana che "ha senso" che l'istituto aumenti le sue riserve. Mentre il top manager della seconda banca italiana, Andrea Orcel, si era limitato a dire, prima dell'introduzione delle ultime modifiche, che UniCredit non subirà un grande impatto dalla tassa e che lascerà
inalterati i piani per dividendi e buyback per più di 6,5 miliardi di euro per il 2023.