Sam Altman, CEO di OpenAI e volto più riconoscibile della nuova ondata di intelligenza artificiale, ha recentemente dichiarato che l’AI è in bolla. Una frase che ha fatto sobbalzare investitori e analisti di tutto il mondo. Non stiamo parlando di un commentatore qualunque, ma di colui che con ChatGPT ha portato l’intelligenza artificiale nelle case di milioni di persone, trasformandola da tema tecnico a fenomeno culturale globale.
Ma che cosa significa davvero parlare di “bolla”? Per capirlo è necessario allargare lo sguardo, osservare la “big picture”, come direbbero gli americani, e distinguere tra i diversi attori che oggi popolano l’ecosistema dell’AI.
Tre categorie di aziende nell’AI
Oggi si possono individuare tre grandi famiglie di società che operano nell’ambito dell’intelligenza artificiale.
1. I creatori dei modelli
Sono le aziende che sviluppano i Large Language Models (LLM), ovvero i motori su cui si fondano le applicazioni di AI. Qui troviamo OpenAI con ChatGPT, Google con Gemini, Meta con Llama, XAI (il progetto di Elon Musk) con Grok e Anthropic con Claude. Queste realtà non offrono soltanto prodotti diretti agli utenti, ma soprattutto mettono a disposizione i loro modelli e la loro potenza di calcolo tramite API, consentendo a terzi di integrare l’AI nei propri software.
2. Le startup applicative
Si tratta delle nuove imprese che non sviluppano i modelli, ma costruiscono servizi e prodotti sopra di essi. In pratica acquistano l’accesso ai LLM delle big tech e li utilizzano per creare applicazioni verticali: dall’assistente per la produttività al tool per il marketing, fino alle piattaforme creative. È questo il segmento che oggi mostra i segnali più evidenti di “bolla”: valutazioni miliardarie per progetti ancora immaturi, round di finanziamento iper-gonfiati e, in alcuni casi, iniziative poco trasparenti o veri e propri scam.
3. Le aziende utilizzatrici
Sono le imprese di ogni settore già esistente che stanno progressivamente integrando l’AI nei propri processi per migliorare l’efficienza, ridurre i costi o sviluppare nuovi prodotti. Qui l’obiettivo non è “vendere l’AI” ma sfruttarla come strumento. È il livello meno esposto al rischio di bolla, perché l’intelligenza artificiale viene adottata come mezzo per rendere più competitivo un business già solido e che esiste a prescindere da essa.
Fonte: Forecaster.biz
La vera bolla: le startup di seconda fascia
Secondo il mio parere, e in effetti secondo quello che la storia insegna, la potenziale bolla riguarda soprattutto la seconda categoria: le startup che cavalcano l’onda dell’AI senza possedere un reale vantaggio competitivo. Molte di queste società hanno presentato idee brillanti solo in superficie, costruendo un “guscio attraente” per investitori attratti dall’hype, ma basando il loro funzionamento esclusivamente sui motori sviluppati da altri.
È il fenomeno tipico delle grandi rivoluzioni tecnologiche. Ogni volta che nasce un’innovazione dirompente, proliferano aziende che promettono miracoli: è accaduto con le ferrovie, con la radio, con la televisione, con i pannelli solari e persino con la marijuana a uso medico. Inizialmente i capitali affluiscono in massa, gonfiando valutazioni e aspettative, ma solo poche realtà sopravvivono allo sgonfiamento inevitabile della bolla.
L’esempio recente più eclatante è quello di DeepSeek: un modello di linguaggio che, per qualche settimana, sembrò in grado di sfidare i giganti americani con costi infinitamente inferiori. Il panico fu notevole, ma presto si scoprì che si trattava di una semplice rielaborazione di modelli già esistenti. Una “carrozza con binari finti”, per riprendere la metafora storica delle aziende che, ai tempi della rivoluzione ferroviaria, cercavano di trasformare le vecchie carrozze a cavalli in finti treni.
Le big tech: investimenti obbligati
Diverso il discorso per i grandi sviluppatori di modelli. Google, Meta, Microsoft (partner di OpenAI), Anthropic e gli altri colossi non stanno rincorrendo una moda passeggera: stanno gettando le fondamenta di quella che sarà la tecnologia destinata a plasmare il futuro.
Queste aziende, che gli piaccia o meno, non possono permettersi di ignorare l’AI, pena la sorte di Kodak, che inventò la prima fotocamera digitale ma decise di non investirci, finendo travolta dall’ondata di innovazione. Per questo i profitti derivanti dai loro core business vengono reinvestiti massicciamente nell’AI: non si tratta di scommesse, ma di strategia di sopravvivenza.
Le aziende “utilizzatrici”: la rivoluzione silenziosa
Il terzo livello è quello meno visibile, ma forse più interessante nel medio periodo. Qui troviamo le imprese che inseriscono l’AI nei processi interni: dall’analisi dei dati alla traduzione automatica, dall’assistenza clienti alla creazione di contenuti.
L’impatto è già tangibile: lavori che richiedevano ore oggi si completano in pochi minuti, eliminando errori e aumentando la produttività. Un fenomeno paragonabile all’introduzione della calcolatrice: non ha inventato i numeri, ma ha reso i calcoli più rapidi e accessibili.
Un esempio? Nel nostro piccolo l'AI ha dato un enorme mano al già esistente Forecaster, il software che abbiamo realizzato per analizzare mercati, settori, materie prime, azioni e qualsiasi strumento quotato in modo da poter investire e fare le proprie scelte in maniera consapevole.
Storia e ciclicità delle bolle tecnologiche
Ogni grande innovazione ha attraversato una fase di euforia speculativa. I treni, la radio, la televisione, i personal computer, internet negli anni 2000: tutte hanno conosciuto un “momento bolla”. Dopo lo scoppio, non sono sparite: anzi, hanno continuato a svilupparsi, eliminando però le aziende improvvisate e lasciando spazio a chi aveva una visione di lungo periodo.
Lo stesso accadrà con l’AI. Oggi i LLM rappresentano appena le “incisioni rupestri” di una rivoluzione che deve ancora dispiegarsi. La vera trasformazione arriverà con ciò che nascerà grazie all’intelligenza artificiale, così come internet non fu rivoluzionario in sé, ma lo divenne con l’arrivo di Google, dei social network, delle app.
AI e mercati finanziari: siamo davvero in bolla?
Distinguere è fondamentale. Sul piano delle startup speculative, la bolla è evidente. Ma sui mercati azionari, parlare di bolla generalizzata è eccessivo. Le big tech hanno basi solide e non possono essere paragonate alle “dot-com” di fine anni ’90. Certo, anche colossi come Amazon persero oltre il 90% di valore nel crollo del 2000, salvo poi risalire a livelli impensabili. Lo stesso destino potrebbe attendere i leader dell’AI: volatilità nel breve, crescita strutturale nel lungo.
Per gli investitori, quindi, serve prudenza: non svendere i beni per inseguire l’hype, ma nemmeno ignorare un trend che – al netto delle bolle – segnerà inevitabilmente il futuro.
Conclusione: distinguere tra carrozze e treni
L’AI è davvero in bolla? Sì e no. Lo è nelle startup che promettono miracoli senza avere fondamenta proprie. Non lo è nelle grandi aziende che costruiscono i motori dell’AI, né nelle imprese che la integrano per migliorare la produttività.
La sfida per i prossimi anni sarà proprio questa: distinguere tra le carrozze con binari finti e i veri treni. Solo chi saprà riconoscere la differenza potrà cavalcare la rivoluzione senza rimanere schiacciato dallo scoppio della tanto temuta bolla.
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