La firma dell'
accordo USA-UE sui dazi alla fine è arrivata e potrebbe cambiare in maniera profonda i rapporti tra le due sponde dell'Atlantico. Tuttavia, ancora diversi aspetti restano oscuri e altri dovranno essere presto definiti. In linea di massima, si può tracciare un primo bilancio e farsi un'idea di chi potrebbe avvantaggiarsi o meno dal compromesso trovato tra il presidente degli Stati Uniti
Donald Trump e il capo della Commissione Europea
Ursula Von der Leyen. Vediamo quindi cosa è stato deciso, cosa c'è ancora in ballo e chi vince e chi perde in tutta questa vicenda.
Accordo USA-UE: cosa è stato deciso
L'accordo Usa-UE rientra in una nuova ondata di misure stabilita da Trump verso i Paesi partner che va da tariffe minime del 10% a un massimo del 41%, oltre a stabilire un 40% per le merci trasbordate. Per l'Unione Europea i dazi sono stati confermati al 15%. Il nuovo assetto avrebbe dovuto entrare in vigore il 1° agosto, ma tutto è stato posticipato al 7 agosto per concedere più tempo nell'attuazione dei nuovi prelievi. Inoltre, le nuove tariffe doganali sulle merci spedite via nave non saranno modificate prima del 5 ottobre 2025.
L'aliquota del 15% si applicherà a circa il 70% delle esportazioni dell'UE verso gli Stati Uniti, corrispondenti a un valore stimato in circa 430 miliardi di dollari. A questo tasso non verranno aggiunti altri prelievi e l'applicazione sarà su prodotti settoriali come farmaci, semiconduttori, auto e molti altri. La base rimarrà anche se in futuro gli USA imporranno altri dazi su questi settori. A latere è stato concordato che l'UE acquisterà più gas naturale, petrolio e prodotti per l'energia nucleare dagli Stati Uniti per un valore complessivo di 750 miliardi di dollari nei prossimi tre anni, oltre a un investimento di almeno 600 miliardi di dollari in vari settori americani.
Accordo USA-UE: perché è stato fatto e cosa comporta
L'obiettivo del compromesso tra le due regioni alleate è fondamentalmente quello di ripristinare completamente relazioni commerciali del valore di circa 2.000 miliardi di dollari. Il percorso per arrivare al traguardo non è stato semplice e anzi l'epilogo appare il risultato di un misto di rassegnazione ed esasperazione dal fronte di Bruxelles. Trump ha accusato l'UE di trattare male gli Stati Uniti, con una bilancia commerciale tra le due parti che pende sensibilmente a favore del Vecchio Continente. In tale contesto, ha minacciato il blocco dei 27 di applicare tariffe fino al 200% su alcuni prodotti.
L'obiettivo vero del tycoon è quello di costringere le aziende europee a spostare la produzione negli Stati Uniti, per rilanciare l'economia nazionale e sostenere, attraverso un maggiore gettito tributario, la sua riforma fiscale che comporta un massiccio taglio delle tasse per gli americani. Sul fronte europeo, l'obiettivo invece era di evitare uno scontro frontale con il suo maggiore alleato iniziando una guerra commerciale disastrosa per le proprie imprese.
In particolare il settore automobilistico - settore chiave per l'economia europea - respira, in quanto i dazi calano notevolmente dal 27,5% al 15%. I produttori tedeschi sono i più avvantaggiati, giacché lo scorso anno sono stati esportatori di ben 34,9 miliardi di dollari di nuove auto e ricambi negli Stati Uniti.
Il commissario UE al Commercio, Maros Sefcovic, ha parlato di "rafforzamento della stabilità delle imprese europee e della fiducia nell'economia transatlantica" dopo la firma. Tuttavia, la sensazione generale tra i membri dell'UE è che questo sia stato il migliore accordo possibile in una situazione drammatica.
"Questo è il miglior accordo che l'Europa potesse fare con gli Stati Uniti. Ciò non significa che sia positivo, perché quello positivo sarebbe a zero dazi", ha commentato il vicepremier e ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani. C'è però chi affronta a muso duro il patto con gli Stati Uniti. Dalla Francia, il presidente della Repubblica Emmanuel Macron ha detto che "per essere liberi, bisogna essere temuti" e l'UE evidentemente "non è abbastanza temuta". Ancora più diretto è stato il primo ministro transalpino François Bayrou. "È un giorno buio quando un'alleanza di popoli liberi, uniti per affermare i loro valori e difendere i loro interessi, decide di sottomettersi", ha commentato.
Trump è quindi il vincitore?
La domanda che tutti si pongono in questo momento è se alla fine sia Trump l'unico vero vincitore della contesa con l'Unione europea. Durante la negoziazione appariva evidente che ci sarebbe stato uno squilibrio a favore di Washington, frutto dell'impressione che l'UE avrebbe avuto più da perdere se fosse entrata in rotta di collisione con la Casa Bianca. A conti fatti, secondo gli economisti, i termini dell'accordo rafforzano innegabilmente la posizione competitiva delle industrie statunitensi.
Tuttavia, ciò potrebbe avere delle ripercussioni deleterie per gli americani. In buona parte, i costi delle tariffe sono sostenuti dal consumatore finale in quanto molte aziende USA che importano dall'Europa trasferiranno i dazi pagati agli acquirenti dei beni venduti. Almeno quelle imprese che hanno capacità di determinazione dei prezzi, per le altre è un salasso, perché le tariffe andranno a colpire i margini aziendali. Quanto all'Europa, il timore è che i suoi beni diventino meno competitivi, con un conseguente calo della domanda. Ciò potrebbe spingere le aziende europee a investire capitali importanti per spostare la produzione in territorio statunitense, dove non sarebbero assoggettate ad alcun dazio.
Un aspetto controverso
Un aspetto dell'accordo USA-UE non è da sottovalutare, soprattutto perché esistono reali dubbi che possa essere messo in pratica. Si tratta dell'impegno europeo a investire centinaia di miliardi per acquistare energia dagli Stati Uniti nell'arco di tre anni e a investire in USA altrettanto denaro in svariati settori.
La domanda è come potrebbe mai riuscirci l'Europa a fare ordini energetici così imponenti (750 miliardi di dollari) quando lo scorso anno le importazioni di energia americana non sono arrivate a 80 miliardi di dollari. Tra l'altro, l'UE non acquista energia al posto dei suoi Stati membri, tantomeno può attuare imposizioni di questo genere. Quanto ai 600 miliardi di dollari di investimenti in altri settori promessi a Trump, l'impegno è altrettanto problematico per ragioni simili, tanto più che non si tratta di un obiettivo vincolante per Bruxelles.