La prossima sfida per la Fed? Il petrolio a 100 dollari | Investire.biz

La prossima sfida per la Fed? Il petrolio a 100 dollari

20 set 2023 - 15:00

20 set 2023 - 15:09

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Le quotazioni del petrolio si avvicinano alla soglia dei 100 dollari. Cosa rappresenterà questo per la Fed? Scopriamolo, mettendo in luce gli effetti sull'inflazione

Questa sera la Federal Reserve quasi sicuramente confermerà i tassi d'interesse al 5,25-5,5%. Gli operatori si concentreranno su quello che dirà in conferenza stampa il governatore Jerome Powell sui possibili rialzi futuri, sul primo taglio nel 2024 e sulle proiezioni riguardo la crescita, il mercato del lavoro e l'inflazione.
 
Tuttavia, c'è un aspetto che non dovrebbe essere sottovalutato e che potrebbe rappresentare la prossima impegnativa sfida della Banca centrale americana: il prezzo del petrolio. Le quotazioni del greggio si stanno avviando lentamente verso la soglia psicologica dei 100 dollari al barile, oltre la quale potrebbe iniziare un percorso verso i massimi degli ultimi 15 anni a 140 dollari.
 
Le dinamiche del terzo trimestre sui mercati internazionali sono poco incoraggianti: nel Q3, il future sul Brent è aumentato del 26% chiudendo l'ultimo giorno di negoziazione a 94,34 dollari al barile mentre il derivato sul West Texas Intermediate ha segnato un +29% a 91,20 dollari. 
 
 

Petrolio: cosa ha innescato il rally e perché è importante per la Fed

Con l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia e la crisi energetica che ne è conseguita, i prezzi del petrolio nel 2022 si sono impennati fino a lambire quota 140 dollari. Questo ha innescato una reazione dell'Occidente che ha portato a fissare un price cap a 60 dollari al barile per le importazioni del greggio russo, oltre che una serie di azioni mirate a sostituire le forniture da Mosca. Tutto ciò è bastato per far invertire la rotta all'oro nero, che in pochi mesi è arretrato in prossimità di 60 dollari. Il dietrofront è stato favorito anche dal calo della domanda cinese per effetto delle chiusure per frenare la diffusione della pandemia.
 
La dinamica descritta però è andata contro l'interesse dei Paesi dell'OPEC+ che, con prezzi più bassi hanno registrato un calo dei profitti. Da qui la reazione dei pesi massimi del cartello. Dapprima l'Arabia Saudita ha annunciato il taglio dell'offerta di 1 milione di barili giornalieri a partire da luglio; in seguito la Russia ha varato una riduzione dell'output di 500 mila barili al giorno. Giocoforza, il petrolio ha ripreso a correre scavalcando importanti livelli di resistenza e spingendosi in direzione 100 dollari dopo che Riad e Mosca hanno confermato il 5 settembre i tagli fino alla fine dell'anno.
 
Tutto questo ha grande importanza per la Fed, in quanto la crescita delle quotazioni del greggio si riversa nei prezzi di altri beni e servizi. Ciò avviene non solo sul fronte del carburante e dell'energia, ma anche riguardo i generi alimentari, di largo consumo e discrezionali. Il costo di produzione infatti riflette anche una maggiore spesa sul fronte energetico.
 
In sostanza, la Fed ha profuso uno sforzo non indifferente per combattere l'inflazione in quest'ultimo anno e mezzo con una serie di strette sui tassi molto impegnative che potrebbero essere vanificate dall'andamento dei prezzi dei prodotti energetici. Da questo ne deriva che la Banca centrale dovrà prestare molta attenzione alle prossime mosse, per evitare di risvegliare l'inflazione e poi intervenire in maniera ancora più restrittiva. In altri termini, quanto accade sul mercato petrolifero potrebbe dissuadere per il momento la Fed a svoltare in senso accomodante, rinviando il primo taglio dei tassi d'interesse che è previsto all'inizio del 2024.
 
 

Le previsioni degli analisti

Gli analisti avvertono del pericolo derivante dal rally del petrolio, sebbene alcuni conservino una certa dose di ottimismo. "L'inflazione potrebbe essere leggermente più alta e ciò incoraggerebbe la Fed a ulteriori rialzi dei tassi fino alla fine dell'anno", ha affermato David Fyfe, capo economista della società di dati sulle materie prime Argus Media.
 
Meno pessimista è Edward Morse, analista di Citigroup, secondo cui il Brent potrebbe anche superare i 100 dollari nel breve periodo ma "prezzi più alti rendono probabili prezzi più bassi". A suo avviso, se le quotazioni del petrolio dovessero crescere troppo, l'Arabia Saudita potrebbe aumentare le forniture riequilibrando il mercato.
 
Anche Giovanni Serio, capo della ricerca presso il gigante del trading sul petrolio Vitol, lascia aperta una speranza per il futuro, grazie a una maggiore produzione nelle Americhe. "Le scorte si stanno attualmente riducendo a un ritmo di quasi 2 milioni di barili ogni giorno. Uno dei motivi è che la domanda in Cina è stata più forte di quanto la sua debole economia suggerirebbe. Tuttavia, l'aumento della produzione in Nord America e America Latina porterà la produzione globale e la domanda più equilibrate nel quarto trimestre".
 
 
 

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