Per Nvidia è arrivata una brutta tegola. A conclusione di un'indagine preliminare nell'ambito dell'acquisizione nel 2020 di Mellanox Technologies, l'Amministrazione statale cinese per la regolamentazione del mercato (SAMR) ha stabilito che il colosso dei chip statunitense ha violato la legge anti-monopolio del Paese.
La transazione era stata approvata da Pechino a certe condizioni, tra cui quella che Nvidia avrebbe continuato a fornire al mercato cinese acceleratori GPU, utilizzati nell'informatica. Tuttavia, le vendite degli acceleratori più avanzati sono state interrotte negli ultimi anni, a causa dei controlli sulle esportazioni varati dall'amministrazione Biden.
La SAMR però non ha spiegato in che modo Nvidia avrebbe violato le leggi cinesi in relazione all'acquisizione del fornitore israelo-statunitense di prodotti di rete e alle sue condizioni. Sulla notizia, le azioni Nvidia sono in calo di circa 1,5 punti percentuali nelle contrattazioni pre-market di Wall Street.
Nvidia: quali ripercussioni dall'indagine cinese
Cosa significa l'esito dell'indagine su Nvidia da parte delle autorità antitrust cinesi? C'è il rischio di una multa che va dall'1% al 10% del fatturato annuale dell'azienda, con riferimento all'anno precedente. Quindi, avendo Nvidia generato vendite in Cina per 17 miliardi di dollari nell'anno fiscale conclusosi il 26 gennaio 2025, nella peggiore delle ipotesi la sanzione ammonterà a 1,7 miliardi di dollari.
L'impatto però va al di là dell'ammenda. Secondo Lian Jye Su, capo analista della società di consulenza Omdia, a Nvidia potrebbe essere impedito di vendere chip in Cina che non contengono la tecnologia Mellanox.
La decisione di SAMR rischia però avere effetti rilevanti nel rapporto tra Washington e Pechino, e di riflesso ripercuotersi su Nvidia. A Madrid sono in corso i colloqui commerciali tra le due superpotenze, con i chip probabilmente all'ordine del giorno. La mossa dell'Antitrust cinese potrebbe quindi inserirsi nell'ambito di una partita a scacchi che si sta giocando tra le parti. Secondo gli esperti, potrebbe essere un modo per alzare la posta e aumentare il peso nella trattativa, reagendo alla decisione dell'amministrazione Usa di venerdì scorso di inserire 23 aziende cinesi in una black list.
"È un avvertimento che se il paradigma di controllo delle esportazioni degli Stati Uniti funziona allo stesso modo degli ultimi anni, ci saranno conseguenze e la Cina è disposta a infliggere danni alle aziende statunitensi", ha dichiarato Zhengyuan Bo, partner della società di ricerca Plenum. Secondo Alfredo Montufar-Helu, Amministratore delegato della società di consulenza strategica GreenPoint, "entrambe le parti sembrano costruire una leva per negoziare da una posizione più favorevole, ma lo stanno facendo attraverso mosse molto calcolate perché capiscono la posta in gioco".
Se la situazione dovesse degenerare, rischierebbe di mandare all'aria le speranze dell'Amministratore delegato di Nvidia,
Jensen Huang, di vedere superate le tensioni Usa-Cina e quindi di vendere le versioni modificate dei suoi chip più avanzati alle aziende cinesi. All'inizio del 2025, il processore di fascia alta
H20 legato all'intelligenza artificiale - progettato appositamente per la Cina in modo da rispettare le strette all'esportazione americane - è stato bloccato da Washington.
Huang ha avvertito che se le aziende americane saranno costrette a uscire dalla Cina, oltre a perdere miliardi di fatturato, consentiranno a player nazionali dei semiconduttori AI (Artificial Intelligence) come Huawei a riempire il vuoto. Il mese scorso, il top manager ha stretto un accordo con il governo americano con cui l'azienda potrà riprendere le vendite cinesi in cambio di una tassa americana del 15% di tali entrate.
A giudizio di Bo di Plenum, gli sforzi della Cina per promuovere sostituti nazionali dei chip AI più potenti di Nvidia impatteranno sui suoi profitti più della sentenza dell'antitrust. Tuttavia, "questo non dovrebbe essere preso come un segno che la Cina stia cercando di cacciare Nvidia dal Paese", ha detto.