Si moltiplicano i tagli che arrivano sulle prospettive di crescita dell’economia cinese con l’aumento della diffusione del coronavirus.
L'onda d'urto mondiale
Per il 2020, causa il blocco degli impianti industriali e dei servizi dovuti alla quarantena obbligatoria, si prospetta un annus horribilis per Pechino. E non solo per lei. Anche la Banca Centrale Cinese se n’è accorta e sta progettando diverse misure di stimolo all’economia, ma non è ancora chiaro quanto e se saranno in grado di compensare il danno economico da coronavirus. Come da Moody’s Investors Service fanno notare, “L’impatto economico immediato e più significativo è in Cina ma si ripercuoterà a livello globale, data l’importanza della Cina nella crescita globale e nelle entrate delle società”.
I maggiori downgrade
Per questo motivo c’è già chi teme addirittura un Pil cinese al 5% per il 2020, sebbene si tratti solo di una view estrema. Di poco sopra, invece, le previsioni di ANZ che conferma la sua previsione al 5,8% con un primo trimestre al 5,0%. Tagli anche da Citi che dal 5,8% passa al 5,5%, Mizuho (5,6% da 5,9%), Natixis (dal 5,7% al 5,5%) e UBS con un downgrade dal 6% al 5,5% mentre da Nomura si parla di un Pil “significativamente inferiore” al 6,1%.
A rischio la crescita mondiale
Lo scoppio dell’epidemia cinese del coronavirus sta dunque condizionando tutto con effetti che si vedranno anche sulle previsioni di crescita mondiale. Un problema non da poco visto che, prima di tutto la Cina è la seconda (e per alcuni parametri la prima) potenza economica mondiale. In secondo luogo è anche una delle maggiori consumatrici di materie prime oltre che di lusso e punto cardine nel turismo. In questi ultimi due casi, a pagare il prezzo più alto, rischia di essere anche l’Italia.
In pericolo anche l'Italia
Infatti l’economia tricolore, già fragile di per sé, è particolarmente esposta sul fronte dell’export verso la Cina. E per di più proprio su turismo e lusso. Le ricadute economiche vedranno in bilico, se non del tutto cancellate, oltre 5 milioni di presenze turistiche. Per non parlare, nel lusso, del 28% di quella fetta rappresentata proprio dagli acquirenti cinesi, corrispondente a circa 460 milioni di euro. Ovviamente ciò non tiene conto della filiera produttiva industriale e che lega indissolubilmente Cina-Germania-Italia in un triangolo che vede le ultime due come produttrici della prima.