Per molto tempo, l'argomento OPA -
Offerta Pubblica d’Acquisto - è stato quasi un tabù in Giappone. Le aziende nipponiche, spesso legate da rapporti storici e partecipazioni incrociate, si muovevano in un mondo dove la stabilità contava più del profitto immediato. Un’acquisizione ostile? Impensabile. Ma
negli ultimi vent’anni il vento è cambiato. La globalizzazione, le pressioni degli investitori internazionali e le riforme sulla governance hanno lentamente aperto il mercato. Oggi le OPA non sono più viste come intrusioni, ma come
strumenti di crescita e di trasformazione.
OPA Giappone: ecco le 3 più rilevanti
Per capire davvero come si sta evolvendo il modo di fare impresa in Giappone, vale la pena guardare da vicino tre operazioni che hanno fatto epoca, ovvero tre storie che raccontano un Paese in crescita.
Seven & i Holdings e Couche-Tard: il gigante straniero bussa a Tokyo
Il colosso canadese, Alimentation Couche-Tard, famoso per i suoi negozi Circle K e Mac’s, a un certo punto decise di puntare tutto su Seven & i Holdings, il gruppo che controlla 7-Eleven, la catena di minimarket più famosa del Giappone (e forse del mondo). Il 19 agosto 2024 ha fatto un’offerta di acquisizione "friendly" - quindi non ostile - stimata in circa 5.600 miliardi di yen, pari a più o meno 38 miliardi di dollari. La cifra era talmente enorme da poter entrare nei libri di storia come la più grande OPA straniera mai tentata in Giappone.
Sulla carta, il matrimonio era perfetto: due giganti del retail con modelli simili e mercati complementari. Ma nella pratica, l’operazione non è mai andata in porto. Il 6 settembre 2024, Seven & i ha respinto l’offerta da 14,86 dollari per azione. La decisione è stata motivata dalla sottovalutazione della società. Couche‑Tard ha ritirato formalmente la proposta il 16 luglio 2025.
Perché il tentativo di OPA è fallito? In Giappone le acquisizioni straniere sono ancora delicate. Ci sono motivazioni culturali - la diffidenza verso chi arriva “da fuori” - ma anche politiche ed economiche: 7-Eleven è un simbolo nazionale, e lasciarlo in mani straniere avrebbe sollevato più di qualche sopracciglio.
Alla fine, Couche-Tard ha fatto marcia indietro, ma l’effetto è rimasto. Quell’offerta ha mostrato che anche i grandi gruppi giapponesi non sono più intoccabili e che il Paese si sta lentamente aprendo ai capitali globali. In un certo senso, è stata un’OPA che non ha cambiato solo i bilanci, ma la mentalità.
Toshiba e Japan Industrial Partners: un colosso che si rialza
Se Seven & i è la storia di una porta che non si è aperta, Toshiba rappresenta quella di una seconda possibilità.
Parliamo di un marchio storico, quasi un’istituzione in Giappone: televisori, semiconduttori, infrastrutture ed energia. Eppure, dopo anni di scandali contabili e crisi finanziarie, il gigante si era piegato sotto il proprio peso. Nel 2023, un consorzio guidato dal fondo Japan Industrial Partners (JIP) ha deciso di intervenire con un’offerta da circa 2.000 miliardi di yen, pari a 14 miliardi di dollari. L’obiettivo? Rilevare la società e portarla fuori dalla Borsa di Tokyo per darle il tempo di ricostruirsi lontano dai riflettori.
Non è stata un’operazione spettacolare in stile Wall Street, ma una manovra “alla giapponese”: discreta, pragmatica, mirata alla stabilità. Il governo ha appoggiato la scelta, preferendo che un gruppo locale salvasse un’azienda strategica piuttosto che lasciarla cadere in mani straniere. Da quel momento, Toshiba ha iniziato un lento processo di rinascita, puntando sulla ristrutturazione e sull’efficienza.
Questo caso è emblematico perché racconta un Giappone che non respinge le OPA, ma le utilizza come strumento di risanamento. È un approccio più maturo, dove il mercato e la tradizione imparano a convivere.
Nippon Steel e U.S. Steel: quando il Giappone torna protagonista
Le prime due storie parlano del Giappone come “bersaglio” di offerte, ma la terza cambia prospettiva: qui il Sol Levante è il protagonista. Nel dicembre 2023, Nippon Steel, il colosso dell’acciaio giapponese, ha sorpreso il mondo annunciando l’acquisizione di U.S. Steel, una vera icona americana, per circa 15 miliardi di dollari. È stato un colpo clamoroso. In un periodo in cui il Giappone veniva ancora visto come prudente e conservatore, una mossa così audace ha ribaltato gli stereotipi.
Negli Stati Uniti non tutti l’hanno presa bene: l’idea che un gruppo straniero - per di più giapponese - controllasse un simbolo dell’industria americana ha acceso un vivace dibattito politico. Ma dal punto di vista strategico, è stata una mossa geniale. Nippon Steel non solo si è garantita un accesso diretto al mercato americano, ma ha anche rafforzato la sua posizione globale contro i colossi cinesi dell’acciaio. In pratica, questa operazione ha segnato il ritorno del Giappone sulla scena internazionale: da Paese che subiva OPA a Paese che le lancia.
Cosa raccontano queste tre storie
Messe insieme, queste tre operazioni tracciano un quadro molto chiaro: il Giappone sta cambiando pelle.
Per decenni, le aziende giapponesi hanno resistito a ogni tipo di acquisizione. La parola d’ordine era “protezione”. Oggi, invece, il lessico è cambiato: si parla di efficienza, sinergie, governance e competitività.
Le riforme volute dal governo, l’arrivo di investitori stranieri e la necessità di rendere le aziende più redditizie hanno reso le OPA un fenomeno sempre più accettato. Il Giappone mantiene ancora una certa prudenza - le operazioni devono rispettare i valori nazionali e non minacciare l’occupazione - ma la direzione è chiara: l’era del mercato chiuso è finita.
Le OPA oggi sono viste come parte del percorso naturale di un’economia matura. Servono a ristrutturare, a unire forze, a rendere le aziende più forti e competitive. E ogni volta che un grande deal si affaccia a Tokyo, non è più uno scandalo: è semplicemente un segnale che anche il Giappone si muove, e vuole restare protagonista nel mondo.