Il 1° novembre 2011 sui mercati finanziari successe il finimondo. Il premier greco George Papandreu, pressato dall'opinione pubblica, rilasciò una dichiarazione: "il popolo greco sarà chiamato a decidere se accettare o meno le misure di austerità imposte dall'Unione Europea per il salvataggio della Grecia. In caso di respingimento, il Paese si prepara a lasciare l'Euro".
Prima di allora nessuno aveva mai avanzato l'ipotesi che l'Europa potesse disgregarsi, pertanto un'affermazione di quel tenore suonava come un campanello d'allarme assordante. La brutta notizia fu che il segnale del Primo Ministro arrivava come il risultato di un'esasperazione popolare che aveva raggiunto il punto di non ritorno.
Da quel momento si innescò una reazione a catena che pose sotto una luce abbagliante quella che era la situazione dei debiti sovrani di quei Paesi dell'area mediterranea che furono denominati PIIGS. Il termine era stato ideato due anni prima da un giornalista dell'Economist per indicare gli Stati che avevano raggiunto un'esposizione debitoria insostenibile e comprendevano il Portogallo, l'Italia, l'Irlanda, la Grecia e la Spagna.
Crisi PIIGS: origini
La crisi del debito sovrano parte da lontano, esattamente dall'autunno del 2009, quando sempre il Primo Ministro greco Papandreu sorprese tutti denunciando che i bilanci pubblici della Nazione fatti conoscere fino a quel momento all'Unione Europea erano falsi. L'obiettivo dell'inganno era stato quello di consentire l'accesso all'Euro del Paese ellenico. Soprattutto ciò che emerse dalla revisione dei conti greci fu che lo Stato si trovava a un passo dalla bancarotta.
La situazione si avvertì subito che fosse estremamente grave, ancor più che si diffuse il timore che gli altri Paesi facenti parte dell'area mediterranea dell'Europa potessero piombare in uno stato di crisi simile. In conseguenza di ciò, le agenzie di rating cominciarono a distribuire una serie di downgrade sul debito sovrano appesantendo ulteriormente la situazione.
Dopo un primo pacchetto di aiuti da parte dell'Europa alla Grecia per 110 miliardi di euro, la cosa sembrò sfuggire di mano quando il 25 luglio del 2011 Moody's tagliò di 3 notch il rating greco preannunciando il default del Paese.
Le misure economiche messe in atto da Atene per migliorare i conti furono drammatiche e dolorose: privatizzazioni, tagli di spesa pubblica, riduzioni alle pensioni e messa in mobilità di 30.000 impiegati statali. Questo fu il frutto di un piano di austerità del valore di 28 miliardi di euro imposto dall'Europa per far accedere la Grecia agli aiuti economici.
La situazione non migliorò più di tanto anche perché bisognava fare i conti con un certo malcontento nel Paese, soprattutto tra quelle frange di popolazione più povere. Per cercare di salvare la baracca venne istituita la Troika, istituzione formata da FMI, BCE e UE, che aveva lo scopo di fornire i fondi per poter andare avanti dietro riforme estremamente austere. Da quel momento venne attivato il fondo salva-Stati che consentì alla casse dello Stato greco di respirare.
Crisi PIIGS: la retromarcia di Papandreu e il Governo di unità nazionale
L'appello oltranzista di Papandreu di indire un referendum non durò molto. Si spense come neve al sole due giorni dopo, a seguito della minaccia europea di sospendere gli aiuti economici. Il 3 novembre 2011 il premier annunciò le dimissioni, dando così vita a un Governo di unità nazionale con Lucas Papademos, ex-Vice Presidente della BCE, al timone.
Quasi tre mesi dopo il Governo greco raggiunse un accordo per un haircut del 50% del credito con le banche private che avevano investito nei bond ellenici, aprendo in questo modo la pista a un secondo piano di salvataggio da 130 miliardi di euro. Dopo poche settimane arrivarono i fondi, alla fine di intensi colloqui tra i Paesi dell'Eurozona.
Crisi PIIGS: effetto domino
Nel frattempo però scoppiò la crisi del sistema bancario irlandese, con perdite che ammontavano a circa 85 miliardi di euro. L'intervento dell'Europa e dell'FMI fu inevitabile, con l'elaborazione un piano di sostegno della stessa cifra. Lo stesso piano fece confluire 78 miliardi di euro al Governo portoghese che denunciava enormi difficoltà di bilancio.
La situazione deflagrò quando la crisi toccò l'Italia e la Spagna, ovvero la terza e la quarta economia dell'Unione Europea. In quel periodo divenne diffuso il termine spread, che prima non si conosceva molto, per indicare il differenziale di rendimento dei bond decennali dei vari Paesi europei con i corrispondenti bund tedeschi.
In Italia, in pochi mesi lo spread passò rapidamente da 200 punti base a 570 del novembre 2011. Questo significò che il nostro Paese si trovava a pagare tassi del 7% sui BTP a 10 anni, il che comportava un esborso di decine di miliardi di euro l'anno, vista la mole enorme di debito pubblico. La perdita di fiducia degli investitori sui titoli di Stato italiani e l'instabilità politica che ne derivò, costrinse l'allora Governo Berlusconi alle dimissioni. Il Cavaliere fu sostituito a Palazzo Chigi da Mario Monti, che ebbe l'incarico di apportare riforme rigorose per risanare i conti del Paese.
Lo spread dei bonos spagnoli seguì lo stesso percorso. A quel punto prese corpo sempre di più la convinzione che la crisi di fiducia che imperversava in Europa fosse in gran parte sganciata dai fondamentali delle economie dei vari Paesi.
Crisi PIIGS: il Quantitative Easing di Mario Draghi
L'Unione Europea avvertì che la situazione fosse seria e intervenne attraverso il Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria, fornendo aiuti ai Paesi in difficoltà. Tuttavia le armi sembrarono spuntate e le tensioni sul debito sovrano stentavano a placarsi.
Nel frattempo alcune riforme impopolari furono attuate nei Paesi del Sud Europa con lo scopo di abbattere il debito, ma alla fine l'unico effetto che produssero fu quello di generare dissensi sociali e spaccature all'interno delle Nazioni senza apportare alcun beneficio in termini economici e finanziari.
La svolta si ebbe nel marzo del 2012, quando Mario Draghi, da pochi mesi Governatore della BCE, lanciò il programma LTRO (Long Term Refinancing Operation) con il quale l'istituto centrale finanziava le banche europee che davano come collaterale titoli governativi dei Paesi UE. Quella rappresentò una vera boccata d'ossigeno per tutto il sistema bancario messo a soqquadro dalla crisi debitoria.
In verità fu solo l'inizio di una rivoluzione monetaria da parte dell'Eurotower, che prima dell'arrivo di Super Mario era stata molto reticente ad aprire i rubinetti per far circolare moneta nell'economia. Fino ad allora infatti impose rigidamente il rispetto dei parametri inflazionistici per rientrare diligentemente nel suo mandato.
Il 26 luglio del 2012, durante un convegno a Londra di fronte a una platea di banchieri, il numero uno della BCE pronunciò la famosa frase "whatever it takes", con riferimento alla sopravvivenza dell'Euro. Quella frase rimase nella storia e diede un'iniezione di fiducia incredibile ai mercati che in quel momento navigavano a vista.
Nel settembre dello stesso anno, Draghi annunciò l'OMT (Outright Monetary Transaction), grazie a cui la Banca Centrale acquistava direttamente titoli di Stato a breve termine dai Paesi dell'Eurozona in difficoltà economica e finanziaria. Per effetto di questi interventi lo spread cominciò a declinare sensibilmente, ma la BCE non si fermò.
Nel settembre del 2014 mise in atto altre due misure straordinarie, il TLTRO (Targeted Long Term Refinancing Operation) e l'acquisto di titoli ABS e Covered Bond. Il primo strumento rappresentava un'estensione del programma LTRO, in quanto la liquidità fornita alle banche doveva essere utilizzata per prestare denaro alle imprese e alle famiglie. Nel secondo caso le banche potevano fornire come collaterale alla BCE per ottenere liquidità, mutui e prestiti concessi alle imprese (ABS) o bond (covered bond).
Tali misure, per quanto impensabili fino a qualche anno prima, non si rivelarono così efficaci per come sperato. Questo perché gli istituti di credito, traumatizzate dalle condizioni eccezionali generate dalla crisi del debito sovrano, ridussero sensibilmente la propensione a prestare denaro alle imprese e alle famiglie. Di conseguenza non sfruttarono a pieno le misure di stimolo adottate dalla Banca Centrale.
Così il 22 gennaio 2015, Mario Draghi decise che era arrivato il momento di fare un salto di qualità, annunciando il Quantitative Easing, sulla falsariga di quello attuato precedentemente da Ben Bernanke con la Federal Reserve.
Con questa misura la BCE acquistava ogni mese e fino a settembre del 2016 60 miliardi di titoli di Stato e delle Istituzioni europee. L'ammontare complessivo fu di 1.140 miliardi. Gli acquisti avvenivano per l'80% attraverso la Banche centrali nazionali e per il 20% attingendo alle risorse della BCE.
Il piano di acquisti fu portato da 60 a 80 miliardi ad aprile 2016 e fu allargato anche alle obbligazioni private non bancarie che avessero un rating superiore a BBB-. Il 25 ottobre 2017 la BCE decise di ridurre la quantità di titoli mensili a 30 miliardi ma di prolungare il programma fino a settembre 2018. Nel giugno del 2018 il Quantitative Easing fu esteso per tutto l'anno abbassando la cifra di acquisti netti mensili a 15 miliardi.
Debito sovrano: i PIIGS oggi
Grazie al Quantitative Easing i rendimenti del debito sovrano scesero a livelli bassissimi in tutta la zona Euro e non solo con riferimento ai bond a lunga scadenza. Diminuì in maniera sensibile anche la percezione del rischio sovrano, come dimostrava il crollo delle quotazioni dei Credit Default Swap che durante il periodo più acceso della crisi avevano raggiunto dimensioni folli.
Oggi i PIIGS non destano più grosse preoccupazioni sui mercati finanziari, anche perché negli anni il modus operandi della BCE ha impresso un segno ben definito, dando la sensazione di essere sempre pronta a intervenire per fornire riparo in caso di tempesta finanziaria.
L'Irlanda è forse il Paese che ne è uscito meglio, con i rendimenti a 10 anni dei bond nazionali che sono finiti in territorio negativo. Spagna e Portogallo hanno tassi vicini allo zero e lo spread tra i BTP italiani e i Bund tedeschi si mantiene stabilmente sotto i 200 punti base da più di un anno. La Grecia, da cui tutto partì, non ha mai usufruito del programma di acquisto titoli sovrani della BCE, però è uscita dal commissariamento della Troika. Oggi Atene paga tassi a 10 anni sui propri titoli di Stato di poco più dell'1%, cosa impensabile durante la crisi dei debiti sovrani, dove il rendimento era volato ben oltre il 10%.