L'inflazione USA continua a essere un problema per gli americani. Negli Stati Uniti il carovita si sta rivelando più ostico rispetto ad altri Paesi, in cui sta scendendo verso gli obiettivi del 2% delineati dalle Banche centrali. Secondo gli economisti, le ragioni sono da attribuire un po' alla forza del mercato del lavoro statunitense e un po' agli stimoli fiscali, in parte ancora in essere, delle amministrazioni Trump e Biden.
Questa settimana il segretario del Tesoro USA,
Janet Yellen, ha affermato che l'inflazione persistente rappresenta un problema per molte persone, nonostante la crescita dei salari. Gli americani percepiscono il carovita "quando vanno a fare la spesa, negli affitti e nei tassi ipotecari più alti che rendono più difficile per i giovani acquistare una casa", ha affermato l'ex governatore della
Federal Reserve.
I dati di giovedì scorso non sono incoraggianti sotto questo aspetto, perché confermano che l'economia USA si sta espandendo - come dimostrato dall'indice dei direttori degli acquisti del settore manifatturiero (50,9 vs 50 atteso dagli analisti) - e che il mercato del lavoro è solido, con una diminuzione dei sussidi di disoccupazione a 215 mila unità dalle 223 mila del mese precedente.
L'inflazione ostinata è in cima ai pensieri anche degli investitori di Wall Street, secondo l'Amministratore delegato di Charles Schwab, Walt Bettinger. Il motivo è che il mercato teme che la Fed posticipi il taglio dei tassi di interesse. Il verbale dell'ultima riunione della Banca centrale americana pubblicato mercoledì ha indicato che i membri del
FOMC sono preoccupati per i livelli del costo della vita, ragion per cui sono
esitanti a ridurre il costo del denaro. "L'inflazione è diventata la preoccupazione numero uno tra gli investitori", ha detto Bettinger. Per questo, "la loro posizione sui mercati si è spostata da rialzista del primo trimestre a un po' ribassista".
Inflazione USA: per Morgan Stanley continuerà a ridursi
L'inflazione USA è attualmente al 3,4%, ancora lontana dal target Fed del 2%, al punto che qualcuno caldeggia addirittura un ulteriore aumento dei tassi di interesse per cercare di farla scendere verso l'obiettivo. Uno studio di Morgan Stanley però infonde un maggiore ottimismo, in quanto prevede un calo dell'indice dei prezzi al consumo verso il 2% entro la fine dell'anno. La banca americana osserva che l'aumento dell'inflazione è stato limitato nei primi tre mesi dell'anno ed è stato in gran parte conseguenza dell'aumento dei prezzi dei prodotti e dei servizi finanziari, che "saranno destinati a scendere in futuro".
Secondo gli analisti dell'istituto finanziario, il tasso di crescita mensile dell'indice dei prezzi core delle spese per consumi personali (PCE) rallenterà nella seconda parte del 2024, attestandosi al 2,7% entro il quarto trimestre. La banca osserva come il PCE core sia attualmente al 2,8%, di 80 punti base al di sopra dell'obiettivo del 2%. La gran parte di questo eccesso è dovuto agli aumenti degli affitti, che dovrebbero però ridursi, sottolineano gli analisti. "L'indice degli affitti dei nuovi inquilini (
NTRI) ha registrato una bassa crescita nel quarto trimestre del 2023 e nel primo trimestre del 2024 - entrambi i dati sono stati inferiori all'1% su base annua. L'NTRI anticipa di circa nove mesi l'indice dei prezzi al consumo (CPI) per gli affitti ed è un fattore significativo nei nostri modelli di previsione", si legge nel rapporto.
Un altro elemento importante che determina l'indice dei prezzi al consumo, per Morgan Stanley, allude ai prezzi delle assicurazioni auto, destinati anch'essi a ridursi "a partire dalla seconda metà del 2024".