Nell’ultimo anno e mezzo le Banche centrali hanno confermato il loro ruolo di grandi protagoniste: ora che il picco dei tassi è stato raggiunto e gli operatori iniziano a scommettere su possibili tagli, è possibile analizzare il ruolo degli istituti monetari nel riportare l’inflazione dalla doppia cifra a livelli maggiormente in linea con quelli registrati nel recente passato.
Quale ruolo hanno avuto le Banche centrali nella riduzione dell’inflazione?
Nel caso della BCE, con una serie di 10 rialzi consecutivi interrotta solo ad ottobre 2023, il tasso di rifinanziamento delle operazioni principali è passato dallo zero all’attuale 4,5%. Andamento simile per il dato statunitense, cresciuto dallo 0-0,25% dell’era pandemica al picco del 5,25% to 5,50% fissato nel luglio 2023.
Ma quali sono i reali meriti delle Banche centrali? Paul Donovan, capo economista di UBS, ha recentemente pubblicato una nota in cui prova ad analizzare l’apporto degli istituti monetari nella riduzione dei prezzi al consumo sulle due sponde dell’Atlantico.
Superficialmente, rileva l’esperto, i meriti delle banche centrali nel ridurre l'inflazione sembrano ovvi perché “gli aumenti dei tassi di interesse trasferiscono denaro dai mutuatari ai risparmiatori” e, per definizione, “un mutuatario è più propenso a spendere, mentre un risparmiatore è meno propenso a spendere”. “L’aumento dei tassi dovrebbe rallentare la domanda economica, e così è stato. Ma il rallentamento della domanda indotto dalla politica non è stato necessariamente il principale motore della disinflazione”.
Tre i fattori che hanno portato al calo dell’inflazione
In particolare, sono tre i fattori che hanno portato ad una riduzione dei prezzi. Innanzitutto troviamo l’inflazione dei beni durevoli, che è stata transitoria, continua Donovan, perché i risparmi che l’hanno alimentata non potevano durare per sempre. “E le persone non richiedono una nuova lavatrice ogni anno: la domanda immediata di beni durevoli riduce la domanda futura”.
Per quanto riguarda invece il ciclo inflazionistico alimentato dal prezzo del petrolio “era fuori dal controllo delle Banche centrali: l’efficienza energetica e le forniture alternative non sono state fornite dalla Federal Reserve statunitense”.
Inoltre, e siamo al terzo punto, le Banche centrali “hanno agito in ritardo nel criticare l’inflazione guidata dai profitti, e questa inversione di tendenza è dovuta soprattutto alla ribellione dei consumatori e al rifiuto di pagare prezzi eccessivamente elevati”.
Naturalmente, conclude Donovan, rallentare la domanda attraverso tassi più alti ha un effetto disinflazionistico. “Ma gran parte della disinflazione degli ultimi 18 mesi si sarebbe verificata comunque. Le banche centrali probabilmente meritano meno della metà dei meriti”.