- Zuckerberg si è mostrato disposto a pagare più tasse in Europa a patto di una riforma globale che interessi tutto il settore;
- I big del web ad oggi contribuiscono in piccolissima parte ai tributi versati nelle casse dei paesi europei, questo accende il fuoco della polemica Europa-Usa;
- Trump minaccia sempre ritorsioni e la riforma rimane temporaneamente congelata, ma si pensa che un accordo possa arrivare entro quest'anno.
Le aperture di Zuckerberg all'Europa
Intervenendo alla conferenza sulla sicurezza a Monaco, il numero uno di Facebook, Mark Zuckerberg, si è dimostrato aperto nei confronti delle pretese che arrivano dai paesi dell'UE in cui il colosso social esercita la sua attività a contribuire in maniera più sostenuta al gettito tributario. Non si è mostrato, quindi, affatto preoccupato di un possibile incremento del prelievo fiscale, anzi ha ritenuto che una riforma a livello globale sia necessaria per favorire una maggiore equità in termine di contribuzione sociale. Questo sorprende parecchio l'opinione pubblica in quanto va ad incastrarsi in un contesto dove il dibattito sul tema riguardante i big settoriali si è sempre mostrato acceso, ancor più quanto le casse statali dei paesi dell'Eurozona languono e si fa più stringente il ricorso a forme di austerità per ripianare i conti.
Quanto pagano di tasse i big del web
Secondo uno studio di Mediobanca le tasse pagate in Italia dai giganti del web sono solamente di 64 milioni di euro complessivi su un fatturato di 850 miliardi e utili per 110 miliardi. La società che contribuisce di più è Microsoft con 16,5 milioni di euro, seguita da Apple con 12,5 milioni, Amazon con 6, Google 4,7, Oracle 3,2 milioni e Facebook con 1,7 milioni di euro. In coda troviamo Alibaba che versa all'erario la misera cifra di 20 mila euro. In particolare Facebook ha versato complessivamente solo il 20% di tasse sull'utile complessivo e addirittura nel Regno Unito ha pagato solamente 32 milioni di dollari su un fatturato di 2 milardi. Cifre, queste, che i gestori della politica non hanno potuto non prendere in considerazione dal momento che le piccole e medie imprese, che rappresentano il motore dell'economia, vengono costantemente vessate con una tassazione che raggiunge anche il 65% del fatturato e alle quali viene richieste un sacrificio sempre più importante.
Le polemiche con l'amministrazione americana
Se ne parla da oltre un anno tra i principali paesi europei per l'applicazione di una tassa ai colossi del web per riequilibrare l'apporto dei contribuenti. Sulla cosidetta Web tax è però sempre pronta a calare la scure di Donald Trump che minaccia ritorsioni in termini di dazi. La partita politica che gioca l'Europa, quindi, non è di facile soluzione, finora paesi come la Francia si sono limitati a provvedimenti di carattere nazionale ma che non hanno smosso più di tanto il quadro politico economico generale. Il tycoon americano continua oggi a manifestare la sua contrarietà e questo ha spinto Macron, ad esempio, a rinviare la messa a punto della riforma globale in attesa di trovare una quadra con gli Stati Uniti arroccati a proteggere i gioielli di famiglia. Ciò che preoccupa l'Europa, e in particolar modo la Germania, è che le parole pronunciate dal segretario al Tesoro americano Munchin qualche giorno fa possano avere un seguito. Egli ha ribadito il concetto che senza un accordo con gli Usa che si inserisca in un più ampio contesto commerciale è pronta la ritorsione con dazi al 25% sull'auto. Questo certamente metterebbe l'export tedesco, già compromesso dal calo della domanda cinese per via del coronavirus, in un condizione di pesante disagio.
Facebook farà da apripista per l'applicazione della web tax?
Certamente un scontro frontale non gioverebbe a nessuno, quindi una soluzione va trovata. In questo proprio Facebook, attraverso le dichiarazioni del suo fondatore, potrebbe favorire lo snellimento della procedura di applicazione della web tax, in quanto metterebbe anche le altre società del settore nella condizione di essere maggiormente disponibili e aperti a misure restrittive. La mossa di svelenire il clima potrebbe anche rivelarsi una strategia vincente per attutire l'eventuale impatto che la riforma potrà avere sul titolo in Borsa che, verosimilmente, risentirà di un peso fiscale più ingombrante, ma tutto dipenderà dai termini dell'accordo che l'Europa e gli Usa riusciranno a mettere nero su bianco e che si spera abbia la luce prima delle elezioni americane di novembre 2020.