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Elezioni USA: ecco come viene eletto il presidente degli Stati Uniti

09 ott 2024 - 17:00

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Con l'avvicinarsi delle elezioni USA sale l'attesa per chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti. Ma come funziona il sistema elettorale americano? Scopriamolo

Il 5 novembre gli americani saranno chiamati al voto per eleggere il prossimo presidente degli Stati Uniti. Il sistema di elettorale statunitense è molto diverso da quello di altri Paesi come l'Italia, perché in realtà non c'è un voto diretto. In sostanza, il candidato alla Casa Bianca viene eletto da un Collegio elettorale, costituito dai "grandi elettori" risultanti dal voto popolare. Questo sistema è stato molto criticato in quanto considerato anacronistico. Donald Trump addirittura lo ha definito come "un disastro per la democrazia". Entriamo quindi nel dettaglio per scoprire come funziona il sistema elettorale del presidente USA e quali sono i punti più contestati.
 
 

Elezioni USA: come funziona il sistema elettorale

A differenza dell'Italia che è una repubblica parlamentare, gli Stati Uniti sono una repubblica presidenziale. Questo significa che in USA il capo dello Stato è anche capo del governo (in Italia le due figure sono separate). L'elezione del presidente statunitense è però complessa perché non risulta dal voto diretto del popolo. Procedendo con ordine, vi sono quattro fasi da rispettare negli Stati Uniti.
 
La prima consiste nella designazione dei delegati alla National Convention. In pratica, il partito repubblicano e quello democratico devono indicare i soggetti che si sfideranno alle primarie come potenziali candidati alla Casa Bianca del proprio partito.
 
Nella seconda fase viene effettuata l'elezione vera e propria dei propri candidati attraverso la cosiddetta nomination. Il candidato viene votato in ciascuno dei 50 Stati, nei territori di Porto Rico, Isole Vergini, Samoa Americane, Guam e Isole Marianne settentrionali, nonché nel Distretto di Columbia. Le votazioni si svolgono in giornate differenti, solitamente tra i sei e i nove mesi prima del giorno delle elezioni presidenziali. Questo per fare in modo che i candidati abbiano il tempo adeguato a organizzare la propria campagna elettorale in ciascuno degli Stati.
 
Una volta conosciuti i candidati dei due maggiori partiti, si procede alla terza fase con le elezioni presidenziali. Qui come detto non viene effettuata l'elezione diretta del presidente, ma quella del Collegio elettorale che a sua volta nominerà il candidato. Il Collegio elettorale è composto da individui scelti dai partiti in ogni singolo Stato, il quale ottiene un numero di grandi elettori pari alla rappresentanza in entrambe le camere del Congresso a cui si aggiungono 3 elettori del Distretto di Columbia. Quindi, alla luce del fatto che la Camera dei Rappresentanti è costituita da 435 seggi e il Senato da 100, i grandi elettori sono complessivamente 538.
 
I voti del Collegio Elettorale vengono inviati agli Archivi Nazionali e al Congresso, che si riunirà il 6 gennaio per certificare il risultato. Il 20 gennaio verrà poi effettuato l'Inauguration Day, in cui si svolge la cerimonia per l'insediamento del nuovo presidente alla Casa Bianca. Per essere eletti alla presidenza e alla vicepresidenza degli Stati Uniti, i candidati necessitano della maggioranza dei voti dei grandi elettori - ovvero 270 nell'ipotesi che tutti quanti i 538 votano - attraverso il sistema maggioritario. Qualora uno Stato non riesca a certificare il suo numero totale di voti elettorali per qualsiasi motivo o il Congresso sostenga un'obiezione ai voti di uno Stato, il numero complessivo di voti elettorali necessari per ottenere la maggioranza viene ridotto di conseguenza.
 
La Costituzione americana prevede una quarta fase nel caso in cui nessun candidato riesca a ottenere dal Collegio la maggioranza assoluta dei voti. In tale circostanza interviene la Camera dei Rappresentanti attraverso la designazione di uno dei tre candidati più votati in quella che viene denominata come elezione contingente. In buona sostanza, ciascuna delle 50 delegazioni statali alla Camera ottiene un voto, quindi per vincere è necessaria una maggioranza di 26 voti. Se entro il giorno dell'inaugurazione del nuovo presidente non emerge alcun candidato, allora il vicepresidente eletto - scelto in tale scenario con un voto di maggioranza del Senato - diventa presidente ad interim in attesa che la situazione di stallo alla Camera di sblocchi. Nel caso estremo in cui entro quella data il Senato non sia riuscito a eleggere il vicepresidente, il presidente alla Camera diventa presidente ad interim. È molto raro che si verifichi l'elezione contingente. Nella storia americana ciò è successo una sola volta, nel 1824, allorché la Camera elesse John Quincy Adams presidente dopo che nessuno degli allora quattro candidati aveva ottenuto la maggioranza nel Collegio Elettorale.
 
 

Le imperfezioni del sistema elettorale americano

Una delle principali critiche rivolte al sistema elettorale presidenziale negli Stati Uniti è il fatto che il voto popolare non abbia piena corrispondenza i voti dei grandi elettori necessari per salire alla Casa Bianca. In pratica, può capitare che il vincitore del voto popolare perda le elezioni. Ciò accade perché negli Stati in cui i candidati non ottengono la maggioranza, i voti popolari che hanno ottenuto non contano nulla, indipendentemente da quanto sono stati numerosi.
 
Nella storia delle elezioni presidenziali lo scenario in cui il vincitore delle elezioni ha ottenuto meno voti complessivi dell'avversario si è verificato cinque volte. La prima nel 1824 quando come abbiamo visto la Camera votò John Quincy Adams dopo che nessuno dei quattro candidati ottenne la maggioranza dei voti elettorali. La seconda nel 1876, anno in cui il Congresso creò una Commissione Elettorale per risolvere le contestazioni assegnando la presidenza a Rutherford B. Hayes a danno di Samuel Tilden. La storia si ripeté nel 1888, allorché Benjamin Harrison vinse con i voti del Collegio elettorale su Grover Cleveland (233 contro 168) grazie all'apporto degli Stati chiave, nonostante abbia perso il voto popolare di 0,8 punti percentuali. La quarta volta accadde nel 2000, quando George W. Bush la spuntò su Al Gore per un riconteggio dei voti in Florida. Infine, nel 2016 ci fu la vittoria di Donald Trump su Hillary Clinton con 304 voti vs 227 nel Collegio elettorale, mentre nel voto popolare la candidata dei democratici ottenne il 2% in più.
 
 
 

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