Negli ultimi anni sempre più spesso si è sentito parlare di dumping fiscale, argomento che è stato sovente oggetto di diatribe tra gli Stati Uniti e l'Europa, in quanto legato alla tassazione delle multinazionali americane che operano in tutto il Mondo.
Oggi il tema è più che mai di attualità con la proposta del duo Biden-Yellen di imporre una tassa minima globale del 21% alle big company che usufruiscono di indubbi vantaggi nei paradisi fiscali. Ma cos'è il dumping fiscale, come realmente funziona e chi sono i Paesi che ne sono particolarmente danneggiati? Ecco una guida completa che fornisce tutte le risposte.
Dumping fiscale: cos'è e come funziona
Il termine dumping deriva dal verbo anglosassone "to dump", che significa scaricare. Se impiegata in economia, la parola allude alla vendita di un bene o servizio in un mercato estero ad un prezzo più conveniente rispetto a quanto fatto sul mercato domestico, con lo scopo esclusivo di conquistare quella piazza.
Il dumping fiscale ha una finalità simile, poiché consiste in una riduzione delle aliquote fiscali da parte di un Paese con il fine di attirare imprese e investitori dall'estero. Questo indubbiamente crea un grande vantaggio sia per i contribuenti, che hanno la possibilità di vedersi ridurre il carico fiscale dalla propria attività, sia per lo Stato che attua il dumping fiscale, in quanto aumenta il proprio gettito tributario. Tuttavia danneggia le altre Nazioni da cui provengono le imprese e gli investitori, creando un fenomeno distorsivo della concorrenza.
Il dislivello tra i diversi Paesi non si limita soltanto al sistema fiscale, ma si estende anche a quello contributivo perché un Paese dove si effettua un maggiore trasferimento di ricchezza incassa più contributi rispetto a uno Stato dove si verificano i deflussi. Questo avrà delle conseguenze importanti anche sulla tutela del lavoratori in termini pensionistici e salariali.
Dumping fiscale: le conseguenze per l'Italia e per l'Europa
Al riguardo uno studio è stato effettuato da Roberto Rustichelli, Presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Il lavoro è stato esposto durante l’audizione alla Camera dei Deputati del 2 luglio 2020 sul Programma di lavoro della Commissione europea per il 2020 e sulla Relazione programmatica in merito alla partecipazione dell’Italia all'Unione europea nell’anno 2020.
In base a quanto risulta dal testo, l'Italia subirebbe un danno quantificabile in un intervallo compreso tra i 5 e gli 8 miliardi di euro annui. L'Erario italiano si vede sfuggire di mano oltre 23 miliardi di profitti l'anno che non può tassare. Questa cifra viene spostata in Paesi come: Lussemburgo per circa 11 miliardi, Irlanda per 6 miliardi, Olanda per 3,5 miliardi e Belgio per 2 miliardi.
Volendo quindi fare un raffronto in termini di crescita degli investimenti diretti rispetto al PIL possiamo vedere come in Italia negli ultimi 5 anni essa è stata del 19%, in Irlanda del 311%, in Olanda del 535% e in Lussemburgo addirittura del 5.760%. Questo ha inevitabilmente determinato delle differenze nella crescita del Prodotto Interno Lordo nello stesso periodo di tempo, con l'Italia che ha avuto una percentuale del 5%, l'Irlanda del 60%, il Lussemburgo del 17% e l'Olanda del 12%.
Oltre l'Italia, tutta l'Europa nel suo complesso paga dazio dall'esercizio di dumping fiscale dei singoli Stati. L'Unione Europea ha subito una riduzione della capacità di raccogliere fondi per effettuare una tassazione più equa nei confronti delle imprese. Sempre sulla base dei dati raccolti, negli ultimi 20 anni, Bruxelles si è vista privata di una cifra che spazia dai 35 ai 70 miliardi di euro annui per via di minori entrate fiscali.
L'avvento del Covid-19 ha inasprito una situazione già di per sé pesante. Quest'anno i 3 principali Paesi europei, ossia Germania, Francia e Italia faranno i conti con perdite determinate solo dal dumping fiscale rispettivamente di 19, 17 e 6,5 miliardi di euro.
Dumping fiscale: le soluzioni
Risolvere il problema del dumping fiscale non sembra una strada facile da percorrere, visto che comunque bisogna in qualche modo alterare determinati equilibri. Negli anni comunque, in seno all'OCSE, si sono studiate delle soluzioni che possono essere sintetizzate in alcuni punti:
- Aliquota fiscale minima sul reddito d'impresa. Tale aliquota verrebbe applicata su una base imponibile consolidata per le società che dovrebbero pubblicare i profitti realizzati in tutti i Paesi in cui operano, nonché quanto effettivamente corrisposto in termini di tassazione;
- Approccio comune sulla tassazione digitale. Se gli incentivi alla digitalizzazione favoriscono indubbiamente lo sviluppo e l'innovazione, da un altro lato determinano distorsioni in termini di competitività. Infatti ci si trova nella situazione in cui le società tradizionali vengono penalizzate al cospetto delle grandi aziende digitali che arrivano a non versare alcuna imposta, o a farlo in maniera irrilevante;
- Riforma IVA a livello comunitario. Questo permetterebbe di evitare tentativi di frode fiscale in ambito transfrontaliero attraverso complesse operazioni di dividend arbitrage;
- Riforma dei regimi speciali. Alcuni Paesi sono dotati di regimi speciali in termini di pagamenti forfettari delle tasse, trattamenti di riguardo per alcune tipologie di reddito nell'ambito degli accordi bilaterali tra i Paesi, zone franche e programmi di cittadinanza. Fare chiarezza su questi punti permetterebbe di evitare squilibri a livello di progressività dell'imposta sul reddito.