La tregua commerciale tra gli Stati Uniti e i Paesi partners sul fronte dei dazi ha dato largo respiro ai mercati internazionali, con gli investitori in preda all'euforia generale. Alcune piazze finanziarie hanno aggiornato i loro massimi storici (vedi New York e Tokyo), e non stanno dando segnali di voler invertire la rotta.
Il presidente Usa
Donald Trump ha paralizzato il mondo intero quando all'inizio di aprile ha annunciato pesanti tariffe reciproche ai Paesi di tutto il pianeta, mettendo letteralmente in subbuglio le Borse mondiali. Si trattava di una strategia ben congegnata per costringere gli altri a scendere a patti con lui, ottenendo il massimo possibile con l'avvio di una trattativa. Così è stato. I compromessi tra Washington e il resto del mondo sono arrivati. Alcuni ci hanno rimesso di più, altri di meno. Ma alla fine ciò è servito a placare gli animi dei mercati ed evitare gli effetti più nefasti di una guerra commerciale.
Le paure non sono tramontate del tutto. Esiste ancora la possibilità che l'economia statunitense rallenti e l'inflazione rialzi la testa a causa dei dazi. Per la verità, segnali evidenti di un percorso verso la stagnazione o un'inflazione irrefrenabile ancora non se ne vedono. Tuttavia, gli esperti di mercato suggeriscono sempre di restare all'erta perché le cose possono cambiare nella direzione meno desiderata.
Dazi: perché l'incubo potrebbe tornare
Chi pensa che l'incubo dei dazi sia ormai lasciato alle spalle, potrebbe correre un grosso rischio. È questo in sintesi il messaggio che traspare da un report di Scope Ratings. L'agenzia europea di rating e analisi finanziaria ritiene che ci siano cinque ragioni per cui la guerra commerciale di Trump sarà destinata a intensificarsi.
In primo luogo, le azioni statunitensi viaggiano ai massimi storici e quindi l'inquilino della Casa Bianca si sente meno pressato dai mercati. Anzi, sembra che gli investitori si siano immunizzati ai cambiamenti repentini di umore di Trump. Il 79 enne newyorchese ha messo tariffe generali del 15-20%. Fino a poco tempo fa i mercati le vedevano come una penalità, ora invece le considerano la nuova normalità.
In secondo luogo, l'economia statunitense ha mostrato una grande resilienza. I dazi attuali sono molto più alti rispetto ai decenni passati, ma non abbastanza per impattare in maniera forte sulle importazioni e provocare gravi perdite economiche. Tra l'altro, l'aumento dei prezzi dei beni importati a causa dei prelievi hanno impiegato più tempo del previsto per far salire l'inflazione in maniera significativa. Ciò implica che anche qui Trump potrebbe meno preoccuparsi delle conseguenze a livello macroeconomico delle sue azioni.
Terzo, i dazi stanno incrementando le entrate per gli Stati Uniti, contribuendo a ridurre l'enorme deficit di bilancio. Secondo i dati del Tesoro Usa, nel secondo trimestre 2025 le casse statali sono state arricchite con un record di 66 miliardi di dollari in più per effetto delle tariffe, con ulteriori 28 miliardi di dollari registrati a luglio.
Il paragone con lo scorso anno è impietoso, quando gli introiti sono ammontati in media a meno di 7 miliardi di dollari al mese. La capacità degli Stati Uniti di risanare le proprie finanze attraverso i dazi potrebbe essere uno stimolo per Trump per calcare la mano.
Una quarta motivazione di una possibile escalation è l'atteggiamento remissivo di gran parte dei partners commerciali degli Stati Uniti. Eccezion fatta per Cina e Canada, che hanno combattuto quasi ad armi pari, altrove invece sono stati attenti a non ferire più di tanto la principale potenza economica mondiale.
Questo mette Trump in una posizione di forza, che potrebbe far valere in futuro. Scope Ratings in particolare sottolinea che finché le risposte dei partners commerciali rimarranno bilaterali piuttosto che multilaterali, una guerra commerciale va a vantaggio degli Stati Uniti.
Infine, la politica americana interna favorisce l'escalation. Nonostante il consenso generale degli americani su Trump sia sceso rispetto alle ultime elezioni, ancora il 90% degli elettori del suo partito rimane con lui. Questa è una spinta per il tycoon ad andare avanti con la politica aggressiva seguita finora, anche in vista delle elezioni di medio termine che si terranno nel 2026.